Coltivare la cannabis in casa, se le piante sono poche e per uso personale, non è reato. Lo hanno sancito le Sezioni unite penali della Cassazione nell’udienza del 19 dicembre scorso, chiamata a esprimersi su un ricorso presentato il 21 ottobre. La sentenza, con le relative motivazioni, deve essere ancora depositata: intanto però il massimo organo della Corte, che fa giurisprudenza, ha deliberato che non costituiscono reato “le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”. Tradotto: se il fine non è lo spaccio ma il solo uso personale e non si pregiudica la salute pubblica, coltivare marijuana in piccole quantità è legale.
Già nel 2011 la Corte di Cassazione in una sentenza aveva stabilito che una sola pianta di cannabis non può essere considerata ‘offensiva’ dato che “non è idonea a porre in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica” e quindi è legale. D’altro canto però, la Consulta, più volte intervenuta sull’argomento, ha nel tempo dettato una linea chiara: coltivare piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è sempre reato, a prescindere da quantità e destinazione d’uso. Per ultima c’è la sentenza del n. 109/2016 che stabilisce come “non viola la Costituzione la fattispecie incriminatrice della coltivazione di cannabis per uso personale“. I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sul balcone di casa sono ormai assai diffusi, venduti anche on line su siti specializzati di internet, ma si incorreva in rischi da un punto di vista legale, finora a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura vera in questa direzione. Dopo questa decisione, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è giunto il momento che il legislatore prenda una posizione definitiva sulla legalizzazione o meno della cannabis e dei suo derivati.
Mantero (M5s): “La Cassazione ha aperto la strada, ora tocca a noi”
“Ancora una volta la giurisprudenza fa le veci di un legislatore vigliacco. La Cassazione ha aperto la strada, ora tocca a noi“, commenta il senatore M5s Matteo Mantero su Fb. “Fino a questa storica sentenza comprare cannabis dallo spacciatore, alimentando la criminalità e mettendo a rischio la propria salute con prodotti dubbi, non costituiva reato penale, mentre coltivare alcune piante sul proprio balcone per uso personale poteva costare il carcere“. Ora, prosegue Mantero, “si mette fine alla stortura tutta italiana di una legge che consegnava il mercato monopolista delle droghe leggere nelle mani della mafia. Adesso è arrivato il momento che il legislatore si svegli, la smetta di sottrarsi al proprio dovete e si decida ad affrontare questi temi ‘scivolosi’ o ‘divisivi’, qualsiasi cosa vogliano dire questi aggettivi”, scrive ancora Mantero. Che poi conclude: “La mia proposta per regolamentare l’auto produzione è già depositata da inizio legislatura, può essere un punto di partenza. Diamoci da fare”.
Il pronunciamento delle sezioni unite penali
Le Sezioni unite penali della Cassazione era chiamato a decidere su un ricorso che chiedeva se “ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza”. Gli ermellini hanno sancito che il reato “è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza”. Basta quindi che la pianta sia conforme a produrre sostanza stupefacente perché sia illegale. Ma devono appunto ritenersi escluse, “in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore”.