Lega Calcio commissariata, un’asta dei diritti televisivi della Serie A che cambierà gli equilibri della pay tv e il progetto, sotto la cenere, di realizzare un canale tematico di proprietà dell’associazione dei club. Non c’è che dire: il mondo dei diritti tv del calcio è nel pieno di un caos senza precedenti. Eppure si tratta di un grande business che avrebbe bisogno di certezze perché una partita di calcio è ormai sostanzialmente un bene di mercato. Una commodity, per dirla in gergo tecnico, cioè un prodotto da vendere grazie alla sua forza attrattiva verso un gran numero di persone. Con tutti gli annessi e connessi del caso approfonditi e analizzati nel libro I diritti audiovisivi nello sport, la normativa e il mercato in Italia e in Europa di Alessandro di Majo, appena pubblicato dall’editore Giapichelli.

Duecentotrentatré pagine in cui si parte dalla forma e dal contenuto dello spettacolo sportivo per arrivare alla valenza economica e sociale del prodotto partita di calcio entrando con forza sul tema dei diritti audiovisivi e facendo un’analisi comparata in Europa e in Inghilterra. “Lo spettacolo sportivo, spesso legato ad una dimensione “intima” e sociale, ha via via incrementato l’interesse del pubblico anche grazie ad un fattore determinante come il processo evolutivo tecnologico, che ancora oggi produce i suoi effetti nel mercato del broadcasting – spiega di Majo nell’introduzione – Con l’affermarsi di nuovi sistemi di comunicazione e attraverso una capillare diffusione delle immagini degli eventi come delle notizie sportive si è generato un vero e proprio mercato televisivo sportivo”. Un mercato in cui lo sport diventa anche propagatore di messaggi pubblicitari grazie al suo potenziale comunicativo e aggregativo. Ed, infine, subisce la “customization del pubblico, con la quale lo spettatore da tifoso diviene cliente e quindi costumer” ed infine porta alla “modifica dei luoghi e delle strutture sportive, sempre più pensati e progettati per avvicinarsi a livello funzionale ai centri commerciali” come si legge nel libro di di Majo che si chiede a chi spettino i diritti sugli spettacoli sportivi.

“Gli organizzatori da una parte e le emittenti dall’altra hanno fin da subito sostenuto le rispettive ragioni, gli uni sostenendo il diritto esclusivo allo sfruttamento della propria attività, le altre facendo valere le ragioni del diritto all’informazione”, precisa lo scrittore che descrive minuziosamente i diversi punti di vista degli attori in gioco delineando i contorni di un “prodotto sportivo fra interesse pubblico e privato”. L’autore passa poi in rassegna la normativa italiana ed europea identificandone vizi e virtù accendendo i riflettori sul decreto Melandri, una sorta di strumento legislativo in materia calcistica. “Il decreto ha perseguito una finalità di contemperamento di due esigenze contrapposte, da un lato l’interesse pubblico e dall’altro la libertà concorrenziale, tanto cara alle istituzioni comunitarie. Attraverso la riadozione della procedura di vendita collettiva ha operato una sorta di ‘ritorno all’antico’, con l’intento specifico di porre in equilibrio un sistema messo a dura prova dagli squilibri tra le singole società, perseguendo di fatto un “obiettivo politico” non soddisfatto dal precedente sistema decentrato”, si legge nel libro in cui si affronta il tema della compatibilità del decreto con le norme europee e analizza il mercato concorrenziale con l’attività dell’Antitrust che aveva acceso un faro su Mediaset.

“Proprio le operazioni di Mediaset sul mercato hanno spinto l’Autorità garante della concorrenza a provvedere ad un controllo della situazione del mercato di riferimento – si legge – Con l’avvio dell’istruttoria nel 22 marzo 2015, l’Autorità Garante ha provveduto ad un’analisi del mercato del settore televisivo, evidenziando di fatto l’importanza e lo stretto collegamento del mercato pubblicitario con quello televisivo. Nello specifico è stato specificato dall’Antitrust come le trasmissioni televisive in chiaro e a pagamento fossero di fatto strettamente legate agli investimenti degli inserzionisti pubblicitari, a loro volta incentivati a contrattare con le emittenti con elevati indici di ascolto, tali da permettere una diffusione amplificata dei messaggi pubblicitari. Considerate le stipulazioni e gli accordi di Mediaset, l’Autorità ha rilevato una posizione dominante della stessa nei vari mercati relativi al settore televisivo”. È un momento centrale nella storia dei diritti televisivi sportivi con Mediaset che a seguito dei rilievi dell’Agcm si è attivata per introdurre “correttivi” alla propria attività di mercato.

Erano però quelli tempi in cui il web e l’on demand non erano ancora entrati così prepotentemente nella vita degli italiani e la Lega Calcio non aveva ancora in mente i pacchetti “per piattaforma” e per “prodotto” che sarebbero arrivati fra il 2015 e il 2019 suscitando l’attenzione dell’Agcm. Del resto non poteva essere altrimenti sapendo che “dal punto di vista globale, il settore calcio a livello economico rappresenta il 46% del fatturato totale dello sport business mondiale, con 26,6 miliardi di euro a fronte dei 57,3 totali – precisa l’autore – Ulteriormente, nel periodo compreso tra il ‘96 e il 2015, i ricavi totali delle maggiori leghe professionistiche europee hanno riscontrato una crescita annua, in media, del 9,3%, passando da 2,8 a 16,9 miliardi”. Numeri che fanno riflettere che il tema dei diritti tv del calcio non sia esattamente quel che si dice un gioco da ragazzi.

“A segnalare una situazione problematica nel sistema di mercato dei diritti audiovisivi sportivi sembra assumere particolare centralità il recente “fallimento” dell’asta per i diritti 2018-21“, prosegue ricordando come “secondo la scia dei risultati delle scorse procedure di gara, l’ultima ha fatto incassare alla 943 milioni di euro, la Lega prospettava introiti superiori al miliardo e non certo la ben ridotta cifra di 490 milioni di euro, risultante dall’ultimo “fallimentare” invito”. Tutto da ripetere, insomma. Così alla fine “sulla base di queste considerazioni emerge dunque la necessità di una maggiore attenzione alla concreta situazione del mercato e ai suoi continui sviluppi, con riguardo anche agli operatori della comunicazione e alle loro posizioni all’interno del mercato – conclude di Majo – Se, da una parte, lo sport dovrebbe quindi essere animato da principi di sana competizione, l’ambito degli interessi ad esso strettamente collegati, sembra essere piuttosto sospinto da uno spirito di conflittualità più che di competizione”. Un business tutt’altro che “sportivo” in senso decoubertiano.

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