Se qualcuno sperava che il voto sulla Brexit avrebbe messo sul giusto binario la ripresa economica in Europa, sistemando nel contempo anche le “intemperanze” politiche dei cosiddetti sovranisti (e loro mentori mediatici), potrebbe molto presto risvegliarsi proprio al centro di un incubo dal quale sarebbe praticamente impossibile risvegliarsi serenamente.

Tutta questa faccenda, a mio parere, è partita male fin dall’inizio, col referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’accordo europeo, voluto dal premier David Cameron per un suo calcolo sbagliato su chi avrebbe vinto quel quesito referendario, che venne rivolto però ad un popolo già stremato dalla lunga stagione dell’austerity, scaricata anche laggiù sul ceto medio basso della popolazione, il quale si è poi naturalmente vendicato alla prima occasione di voto in cui ha potuto esprimere tutto il suo malcontento.

Un voto di protesta che è poi stato usato malissimo da entrambe le parti: i Tory (le destre) scaricando tutte le colpe sull’Europa (al fine di preservare la propria maggioranza) e i Laburisti (le sinistre) proponendo un programma politico talmente di sinistra estrema che era facile prevedere una sconfitta (è anzi stata addirittura una disastrosa disfatta!).

In realtà gli inglesi erano condizionati pochissimo dall’Europa perché, sul piano monetario, avevano sempre conservato la loro indipendenza e influenza e sul piano politico, anche se svantaggiati numericamente, avevano sempre un “peso specifico” in grado di condizionare qualunque scelta andasse contro i loro interessi (ma che non hanno mai usato contro il governo centrale europeo; infatti l’austerità inferta dal governo britannico al suo stesso popolo è stata decisamente più pesante di quella inferta dal governo centrale europeo ai paesi operanti nell’euro).

Ora, uscendo dall’Unione europea, riconquisteranno solo la completa libertà d’azione, ma non guadagneranno niente né in prestigio planetario (più probabile che si riduca per effetto del ridotto peso complessivo dell’area europea in crisi da dieci anni), né in opportunità economiche dove, senza trovare vantaggi da una moneta che non hanno mai cambiato, troveranno invece un forte avversario in più – se non altro come dimensione – proprio nell’Europa. E anche il loro “mitico” dominio sui mari ormai conterà molto meno che nel passato. Tutto questo finirà col dare non uno ma due assi (nella manica) in più a Donald Trump, bravissimo in questo tipo di strategie “affamapopoli”.

Non sono l’unico a pensarla in questo modo sulla disgraziata conclusione del capitolo Brexit. Persino Massimo Cacciari, su L’Espresso di questa settimana in un articolo dal titolo E Londra suonò l’ultimo allarme, dice testualmente: “Non solo si è sancito l’abbandono britannico, ma si è per di più incoronato Capo di quella grande democrazia l’artefice primo dell’operazione, l’ammirato portabandiera dello stesso sovranismo e trumpismo continentali …” cioè Boris Johnson.

E più avanti ancora Cacciari a dire che un conto era la Brexit concordata tra leader con ferma volontà di continuare a cooperare, altra cosa la “…fuga dall’Egitto verso la terra promessa, guidata dal biondo profeta osannato dal maestro Trump … Il gap tra le culture tradizionali si va allargando ed è a un punto dal porre in crisi la nostra stessa identità democratica”.

Ma non è ancora tutto, perché benché il più formidabile guastatore attualmente attivo sullo scacchiere globale sia senza dubbio Trump (con l’immensa influenza che la sua residenza nella Casa Bianca gli consente), ci sono anche altri attori di primo piano che possono (e lo fanno anche senza essere invitati) giocare a tutto campo in questo Risiko globale, giocato quasi senza regole.

L’Europa, ridotta com’è purtroppo ora a succulento spezzatino che accende i desideri più malsani su ogni predatore che transita nelle vicinanze, quale difesa può opporre a Trump che ha già vinto la partita inglese con la Brexit, quella tedesca coi dazi e quella italiana con l’invio di semplici incoraggiamenti twittati ai “Giuseppi” di turno? I francesi? Per ora bastano e avanzano i gilet gialli.

Se cade Trump nel 2020 è già pronto Putin a fare le sue mosse nella fase di interregno (da novembre 2020 a metà circa 2021) e, nell’emisfero sud-orientale, la Cina, che ha già importanti agganci in Sudamerica e in Africa, proseguirà indisturbata la sua espansione.

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