Uno sprint eccezionale delle installazioni eoliche e fotovoltaiche, che dovrebbero crescere a un ritmo pari ad almeno cinque volte quello attuale per arrivare a coprire il 30% dei consumi energetici. L’uscita di scena del carbone. Ma anche un forte ricorso al gas naturale, che pur meno inquinante delle altre fonti fossili non è certo a impatto zero. Il tutto per centrare, nel 2030, l’obiettivo di ridurre le emissioni del 33% rispetto al 2005. Sono i pilastri del Piano nazionale energia e clima (Pniec) 2030 messo a punto dal governo Conte 1, che va adottato entro il 31 dicembre dopo aver ottenuto l’ok di Bruxelles. Dove nel frattempo la nuova Commissione vuole fissare obiettivi più ambiziosi per l’Unione nel suo complesso.
Numeri alla mano, il Pniec è un progetto ambizioso per decarbonizzare l’Italia o non fa abbastanza per accelerare la transizione alle fonti rinnovabili? In queste settimane sul tema sono stati auditi davanti alla commissione Attività produttive della Camera dei deputati tutti i portatori di interessi in quest’ambito. E le valutazioni sono diverse. Critiche sono arrivate da Italia Solare, l’associazione che riunisce le aziende del fotovoltaico: da un lato troppa enfasi sul gas naturale, fonte fossile meno inquinante del petrolio ma sempre responsabile dell’emissione di gas clima alteranti. Dall’altro “obiettivi non credibili, in assenza di snellimenti della burocrazia, per quanto riguarda le nuove installazioni di impianti per ricavare energia dal sole”. Per Confindustria, invece, il gas ha un ruolo chiave nella transizione energetica e l’importante è che l’Italia diversifichi le fonti di approvvigionamento. Secondo Nomisma Energia, senza incentivi e senza prezzi garantiti la crescita prevista per eolico e fotovoltaico è un miraggio.
Il Piano nazionale integrato redatto dal ministero dello Sviluppo fissa, tra gli obiettivi, che le fonti rinnovabili (Fer) salgano al 30% del totale dei consumi energetici entro il 2030. Con un incremento di 11,2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep). Nel settore elettrico si chiede uno sprint eccezionale a eolico e fotovoltaico, con un installato medio annuo dal 2019 al 2030 pari, rispettivamente, a circa 3.200 megawatt e circa 3.800 mw. Mentre negli ultimi anni l’installato medio complessivamente è stato di 700 MW. Le Fer dovranno arrivare a rappresentare il 55,4% della generazione elettrica contro il 34% di oggi.
L’Italia dovrà anche consumare meno energia. Sull’efficienza energetica l’Ue indica di ridurre, al 2030, il fabbisogno di energia primaria del 32,5%, calcolato rispetto alle proiezioni elaborate nel 2007 con il modello Primes. Il Pniec prevede che l’Italia conseguirà una riduzione del 43%. In ciascuno degli anni dal 2021 al 2030, il nostro paese intende abbattere i consumi finali di energia di un valore pari allo 0,8% dei consumi annui medi del triennio 2016-18: si scenderebbe da 115 Mtep nel 2017 a 104 Mtep nel 2030.
Mentre il carbone esce di scena, per il Pniec i prodotti petroliferi continueranno ad essere necessari, ma sarà favorita l’evoluzione in senso green delle infrastrutture esistenti, tra cui le raffinerie, e si diversificheranno le fonti di approvvigionamento in ottica di sicurezza, ad esempio con il ricorso al gas naturale, anche GNL (gas naturale liquefatto). Il gas è il combustibile fossile più pulito: a parità di energia utilizzata, la CO2 prodotta dalla combustione del gas naturale corrisponde al 25-30% in meno rispetto ai prodotti petroliferi e al 40-50% in meno rispetto al carbone (dati Snam). Non vuol dire che il gas non inquini: la combustione genera principalmente CO2, monossido di carbonio, ozono e ossidi di azoto, mentre sono molto ridotti altri inquinanti come particolato, ossidi di zolfo, benzene.
Ma un’economia senza gas, secondo buona parte dell’industria, è per ora impensabile. In audizione alla Camera, Confindustria ha affermato che è “opportuno che venga delineata una strategia per accrescere la competitività del mercato del gas naturale, quale risorsa energetica a basso impatto ambientale e di fondamentale rilevanza per alimentare i processi produttivi industriali. Riteniamo che nella fase di transizione verso una economia low carbon sia fondamentale declinare le opportunità insite in tutte le fonti energetiche, compresi gli idrocarburi”. Inoltre, “nella logica di trasformare l’Italia in un hub del gas si ritiene opportuno da un lato completare l’integrazione dei mercati, superando le congestioni esistenti, dall’altro ampliare le rotte e le fonti di approvvigionamento, valutando ad esempio le potenzialità insite nelle scoperte dei grandi giacimenti nel Mediterraneo”. Va ricordato che nel 2018 l’Italia ha importato un totale di 67,8 miliardi metri cubi di gas, di cui 13% GNL (elaborazioni di Unione petrolifera su dati Snam e Mise). Compriamo soprattutto da Russia, Algeria e Libia. Confindustria si è detta pienamente consapevole del ruolo cruciale che lo sviluppo delle fonti rinnovabili ha nelle politiche di decarbonizzazione, ma la crescita delle rinnovabili “non può essere slegata dalla crescita industriale”.
Ben diversa la posizione di Italia Solare: la transizione energetica secondo l’associazione non deve passare dalle fonti fossili pesanti (carbone e petrolio) al gas per arrivare quindi alle rinnovabili, ma serve il “passaggio diretto” dalle fossili alle rinnovabili, “con il gas come fonte sicuramente necessaria ma che non deve essere posta al centro della politica energetica, come invece è stato ed è ancora, a cominciare proprio dal Pniec”. Italia Solare sottolinea che le emissioni di CO2 in Italia sono ancora in aumento: quest’anno si prevede un incremento dello 0,8% nonostante la bassa crescita economica. Altro segnale che preoccupa l’associazione: dal 2014 al 2018 la potenza media annuale aggiuntiva nel fotovoltaico è stata di 384 Megawatt picco/anno. In confronto, nel solo 2018, in Germania sono stati installati 2,9 Gigawatt picco, in Turchia 1,6 GWp, in Olanda 1,5 GWp, in Francia 873 MWp, in Ucraina 803 MWp. Il Pniec non solo è “troppo gas-centrico”, ma “serve (e manca nel Pniec) la linea guida su come raggiungere” obiettivi sulle Fer tanto sfidanti. “Anzi”, conclude Italia Solare, “riscontriamo una totale assenza di riferimenti su come snellire gli iter autorizzativi e riteniamo totalmente insufficiente la trattazione delle comunità energetiche. Non è condivisibile/credibile la rampa di crescita del fotovoltaico, 1 GW/anno fino al 2025 e poi balzo a quasi 5 GW/anno fino al 2030”.
Le critiche sulla fattibilità del piano non arrivano solo dalla filiera del fotovoltaico. Anche per Confindustria gli obiettivi al 2030 “sembrano correlati da analisi costi-benefici troppo sintetiche le quali non consentono di valutare compiutamente né la praticabilità sul piano tecnologico-programmatico né i relativi effetti di impatto economico sociale sulla competitività industriale”.
In audizione alla Camera, Nomisma Energia ha affermato che, senza incentivi e senza prezzi garantiti, la crescita prevista per eolico e fotovoltaico è quasi impossibile. L’Italia rischia addirittura un paradosso. Sulle emissioni di gas inquinanti siamo particolarmente virtuosi: nel 2017 l’Italia ha raggiunto una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 nei settori che non fanno parte del sistema emission trading system (Ets) rispetto al 2005, in anticipo sui tempi previsti dall’Ue. Ma Nomisma ha sottolineato che il risultato si deve soprattutto al crollo dei consumi dovuti alla caduta del Pil e alla deindustrializzazione e solo in seconda istanza alle rinnovabili e all’efficienza energetica. L’obiettivo al 2030 è ridurre le emissioni del 33% rispetto al 2005 e la sfida del Pniec è tutta qui: il piano mira a un incremento del Pil superiore all’1,2% annuo e al tempo stesso a un calo dei consumi di energia superiore all’1%. Insomma, l’Italia deve inquinare sempre meno ma deve anche tornare a crescere.