In tempi gutturali come quelli che viviamo, il patrimonio di cultura delle città è uno dei pochi argini alla desertificazione umana. E se anche i presidi diffusi di resistenza cominciano a venir meno, niente resta a far da scudo allo strapotere del centro commerciale come luogo unico di aggregazione. Tirate da umarell precoce a parte, a Parma – che è la mia città – da decenni sopravvive un gioiello di resistenza civile che è il teatro delle Briciole, uno dei più importanti teatri stabili per ragazzi d’Italia. Da ragazzo, da giovane musicista strampalato e poi da giovane adulto spettatore ho, come tanti miei coetanei, goduto dei suoi spazi per una serata di teatro, di musica o per avere un palco da calcare. Ora la sua storia – troppo difficile da riassumere qui – rischia seriamente di interrompersi, non per il disinteresse dei suoi fruitori, ma per le drammatiche condizioni dell’economia della cultura di questo Paese e per le scelte poco oculate di chi avrebbe dovuto preservarlo e garantirne il futuro.
Non sono in grado e non sono io a dover distribuire responsabilità e colpe, né posso dire di poter avanzare soluzioni per una situazione che è andata sempre più deteriorandosi dal 2007 ad oggi. Quel che posso fare è offrire questo spazio nel mio blog a chi come la Cgil di Parma sta cercando, con rigore, di non fare scomparire il tema dall’agenda pubblica.
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Tra comunicati e appelli non c’è ancora chi sul caso Briciole-Solares si faccia le domande essenziali che un minimo di spirito critico dovrebbe imporre. Il primo quesito è semplice ma fondamentale. Come si è arrivati alla crisi di oggi, all’attuale stallo? Non sarebbe utile gettare uno sguardo a quel che è accaduto prima del giugno 2019 considerato che Solares Fondazione delle Arti non è esattamente nata ieri?
A maggio 2007 il Teatro delle Briciole Società Cooperativa viene conferito a Solares Fondazione delle Arti. Nel CdA entrano Flavia Armenzoni, Alessandra Belledi, Stefano Caselli, Andrea Gambetta, Massimiliano Di Liberto e Giampaolo Bandini. La nuova realtà non fa in tempo a muovere i primi passi che è subito crisi. Fin dal 2009 inizia il rito degli stipendi pagati in ritardo, viene aperta una procedura di licenziamento collettivo e nel 2011 una procedura di Cassa integrazione. Le perdite di esercizio e l’indebitamento accumulato sono da capogiro.
I soci fondatori, al momento della costituzione della Fondazione, avevano fatto un piano industriale credibile? Si erano assicurati della sostenibilità economica della nuova realtà? Perché avevano unito due realtà completamente diverse e rivelatesi incompatibili?
Fin dall’inizio, crisi economica e crisi di progetti si saldano. Il progetto culturale alla base della nuova Fondazione, l’integrazione tra arte, cinema, teatro e musica, non si traduce in iniziative reali ma resta lettera morta. Ogni area continua a produrre le sue attività come prima, separatamente.
Perché dunque è nata la Fondazione? È forse un inspiegabile errore, destinato ad essere pagato, oggi, dai lavoratori e dalla città? I soci fondatori avevano fatto un piano culturale credibile?
Ai problemi di gestione economica e di identità progettuale, si affianca, in particolare nell’area teatro, un doppio nodo irrisolto che i lavoratori hanno evidenziato in occasione degli incontri sindacali: di gestione delle relazioni con il personale, con tensioni e scarsa serenità nell’ambiente di lavoro, e di concezione verticistica della funzione direttiva, incapace di coinvolgere i lavoratori in momenti di confronto e condivisione dei progetti, oltreché di valorizzare il lavoro d’équipe e le professionalità.
Perché è stato consentito tutto questo?
L’irregolarità nel pagamento degli stipendi si aggrava sempre più nel 2012, arrivando a 9 mensilità non pagate. I lavoratori, supportati dal sindacato, cercano di avviare con la città quel dialogo che da due anni hanno cercato inutilmente di instaurare con i vertici della Fondazione, denunciando pubblicamente la situazione. Il risultato è una levata di scudi da parte della dirigenza e del CdA per aver danneggiato, a loro dire, l’immagine della Fondazione. Contemporaneamente molti dipendenti lasciano, fiaccati dalla crisi.
Come mai la direzione artistica del Teatro delle Briciole (Armenzoni e Belledi), allora parte integrante del CdA, ha taciuto e denuncia solo adesso la situazione? Perché ritiene oggi giusto parlare pubblicamente della crisi della Fondazione mentre, quando lo facevano i lavoratori, era un tradimento? Le dimissioni dei lavoratori che non riescono a fronteggiare la mancata corresponsione degli stipendi sono un modo per risparmiare sul costo del lavoro senza dover gestire vertenze sindacali?
Nel frattempo l’area musica esce dalla Fondazione, ma dal CdA non arriva ai lavoratori nessuna comunicazione ufficiale, e sul sito continua a far “bella” mostra di sé l’area musica, vuota di contenuti.
Che consistenza aveva l’identità multidisciplinare di Solares se la sparizione di un’area è avvenuta nel silenzio?
Nel 2017 Armenzoni e Belledi escono dal Consiglio di Amministrazione e mantengono la direzione artistica e organizzativa del Teatro. Ai lavoratori spiegano che vogliono occuparsi a tempo pieno della direzione dell’area teatro della Fondazione. Nessun cenno a dissidi con il Consiglio di Amministrazione, ma è sempre più evidente una dicotomia fra le diverse aree di attività della Fondazione. Situazione che genera disagi e smarrimento fra i lavoratori, inefficienze produttive, organizzative, di pianificazione, gestione e tensioni.
Considerando i drammatici sviluppi recenti, i soci ritengono che quella scelta abbia tutelato la Fondazione e il Teatro delle Briciole, o abbia indebolito quest’ultimo lasciandolo senza alcuna rappresentanza nell’organo decisionale della Fondazione? La combinazione di queste due decisioni, cedere il Teatro a una Fondazione e poi uscire dal CdA della stessa, non ha messo il Teatro in una condizione critica, che oggi è esplosa ma che covava da anni?
Tra ottobre 2018 e giugno 2019 i lavoratori del Teatro, che operano da sempre a stretto contatto con la direzione, per lo più senza ricevere indicazioni operative dal CdA, assistono a una escalation di liti sempre più frequenti e plateali tra i vertici. In un balletto di indicazioni sempre più surreale, i dipendenti ricevono spesso dal Presidente e dalla Direzione del Teatro disposizioni in aperto contrasto tra loro, mentre i pagamenti delle retribuzioni tornano a non essere regolari.
Perché i soci non si sono assunti la responsabilità di gestire con maggiore equilibrio questo dissidio, senza coinvolgere i lavoratori nello scontro e alimentare in tal modo un clima di tensione, nel timore delle conseguenze che avrebbe potuto comportare il fatto di accogliere l’indicazione dell’uno anziché dell’altro?
Gli eventi degli ultimi mesi, da luglio 2019 ad oggi, sono noti a tutti, ma dovrebbero ricevere nuova luce dalla esposizione fin qui fatta delle vicende che li hanno preceduti.
La successione di queste vicende non può forse indurre a ritenere che le basi del “ribaltone” di giugno della direzione artistica siano anche state poste in dodici anni di errori compiuti da più parti? Perché le direttrici e il Consiglio di Amministrazione non hanno avviato a tempo debito con i lavoratori una schietta e profonda riflessione, sottratta a racconti di parte? Perché non è stata tentata la strada di una autocritica sugli errori compiuti in tutti questi anni?
Nessuno si è mai chiesto pubblicamente a quanto ammonta e come si è formato l’indebitamento della Fondazione. Nessuno ha mai affrontato seriamente il tema della inconsistenza dell’identità culturale e organizzativa, fin dalla sua nascita, della Fondazione Solares delle Arti. Nessuno ha mai voluto affrontare una crisi pluriennale con la tempestività necessaria, si è preferito tergiversare per anni e affrontarla ora con uno scontro drammatico ed emotivo, quando la situazione è diventata sempre più ingestibile.
Quella che si sta tentando di trovare, con la collaborazione del Comune di Parma, con il confronto e la partecipazione di tecnici e legali dei soci fondatori, è una soluzione adeguata, duratura, strutturale per la crisi di Solares Fondazione delle Arti e del Teatro delle Briciole? O si sta invece delineando una soluzione provvisoria, per spostare in là un problema, che finirà per riproporsi a breve in modo ancora più spinoso? Ha senso una soluzione che non individui davvero le cause e cerchi di sanarle una volta per tutte?
I soci della Fondazione, ai quali il sindacato ha inviato una lettera recante le medesime domande, non possono più continuare ad esimersi dal rispondere ai lavoratori di Solares, alla città e al mondo della cultura.
Ancor più cruciali, tuttavia, sono infine le seguenti domande: ritengono i soci che effettuare la stagione 2019/2020 sia condizione imprescindibile per dare una prospettiva di continuità produttiva ed occupazionale alla Fondazione, per accedere al credito e ai finanziamenti pubblici e privati, in attesa di arrivare alla separazione?
Cosa stanno facendo in concreto per garantire la stagione, visto che si continua ad assistere a dichiarazioni contraddittorie e ad interventi che non favoriscono la concreta predisposizione del cartellone?
I soci hanno piena consapevolezza che il tempo ora è veramente scaduto, non per qualcuno, ma per tutta la Fondazione e che non si può perdere un minuto di tempo in più? Nel caso in cui la stagione 2019/2020 non sia considerata indispensabile, qual è il progetto alternativo per garantire un’adeguata, se non migliore, offerta culturale e il lavoro?
Ritengono utile e possibile cogliere questo delicatissimo momento di passaggio per tentare una coraggiosa azione di rinnovamento radicale di tutte le cariche direttive e societarie, nella consapevolezza che esse, qualsiasi lettura si voglia dare dei fatti sopra ricordati, sono a vario titolo coinvolte in una catena di gravi e ripetuti errori strategici, gestionali, organizzativi? Questa azione non sarebbe utile per provare ad affrontare in modo adeguato le sfide del presente e del futuro, avendo a cuore solo l’istituzione e non le vicende personali di questo o di quello?