Per il petrolio le franchigie sotto le quali le aziende non pagano vengono abolite, ma solo per il triennio 2020-2022. Per il gas naturale vengono ridotte. Legambiente: "I vantaggi andranno a Eni ed Edison, le uniche che nel 2018 hanno estratto gas attraverso piattaforme marine". In ogni caso si tratta di una piccolissima parte dei sussidi di cui godono le fonti fossili
Nel testo definitivo della legge di Bilancio 2020 la più volte annunciata eliminazione dei sussidi alle fonti fossili viene sostituita con un taglio più lieve. Confermando la fiducia al governo sulla manovra, infatti, la Camera ha di fatto dato l’ok al testo passato in Senato. E se nelle ultime bozze prima della trasmissione al Parlamento era prevista la totale eliminazione delle esenzioni concesse alle compagnie petrolifere, già nel testo arrivato in Senato si parlava, per quanto riguarda il petrolio, non più di abrogazione delle cosiddette franchigie sulle royalty, ma della “non applicazione” temporanea delle norme del Decreto legislativo 625/1996 che le avevano istituite. Mentre per quanto riguarda il gas Secondo le stime di Legambiente, la nuova norma ridurrà il vantaggio per il settore di circa il 25%, facendo entrare nelle casse dello Stato circa 27 milioni di euro contro i 55 milioni di euro che avrebbe invece portato la totale esenzione. Resta dunque un “regalo” da 28 milioni.
IL TESTO DEFINITIVO – Anche nella versione definitiva resta l’eliminazione delle esenzioni per il petrolio, ma solo per il triennio 2020-2022. Per quanto riguarda il gas si prevede, invece, a partire dal 2020 una modifica delle esenzioni di cui beneficeranno le sole concessioni con una produzione annuale fino a 10 milioni di smc (standard metri cubi) per quello estratto in terra ferma – contro i 25 milioni di smc attuali – e 30 milioni di smc per quello estratto in mare, contro gli 80 milioni attuali. Le concessioni sotto quelle soglie valgono rispettivamente l’1,4% del totale estratto in mare e il 12,7% del totale estratto in terraferma, come sottolineato da Legambiente nel dossier Tutti i sussidi alle trivellazioni presentato alla vigilia dell’arrivo alla Camera della Legge di Bilancio.
COSA È ACCADUTO FINORA – Finora, le compagnie hanno beneficiato delle esenzioni dal pagamento delle royalties petrolifere per le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terra ferma per concessione, le prime 50mila tonnellate prodotte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi standard di gas estratti in terra e i primi 80 milioni di metri cubi standard in mare. Non hanno pagato alcuna aliquota, inoltre, le produzioni in regime di permesso di ricerca. In base ai dati del ministero dello Sviluppo economico, le franchigie hanno riguardato soprattutto le estrazioni di gas, facendo registrare dal 2004 al 2019 questo vantaggio per il 36,6% del gas di quello estratto in mare e per il 28,9% per quello estratto su terra ferma. Nel 2018, per esempio, il 47,6% del gas estratto in mare e il 19,4% di quello estratto su terra ferma è stato esente dal pagamento di royalties. Chi ne ha tratto i maggiori benefici? Per capirlo basta pensare che dei 48 titoli estrattivi operativi nel 2018 in mare, di cui 44 di Eni (ed Eni Mediterranea) e 4 di Edison, 38 sono quelli che hanno estratto sotto soglia. Evidenti i vantaggi per i diversi operatori che estraggono petrolio e gas in Italia. “A partire dall’azienda di Stato Eni – spiega Legambiente – che con l’alto numero di pozzi è certamente la società più coinvolta e che ha visto, solo nel 2018, produrre il 34,9% del gas esente dal pagamento di qualsiasi forma di tassazione”.
GAS, COSA CAMBIA PER LE ESTRAZIONI IN MARE – Secondo Legambiente gli effetti della manovra non sono del tutto irrilevanti. Stando alle produzioni di gas del 2018, la normativa esonererebbe 55 concessioni produttive in terra sulle 61 operanti, pari al 12,7% del gas estratto su terra ferma e 14 concessioni produttive in mare su 48, pari all’1,4% della produzione. “Sebbene gli effetti della proposta vadano nella direzione auspicata di taglio ai sussidi alle fonti fossili, considerando che le esenzioni che rimangono in vigore sono state pensate per aiutare i piccoli produttori – commenta Legambiente – in realtà i vantaggi delle esenzioni per le estrazioni di gas in mare andranno solo a due grandi aziende come Eni ed Edison (rispettivamente con 10 e 4 concessioni) che nel 2018 hanno estratto meno dei 10 milioni di smc di gas previsti dalla Legge di Bilancio. Ovvero alle uniche due aziende che in questo stesso anno hanno estratto gas attraverso piattaforme marine”.
LE ESTRAZIONI SU TERRAFERMA – Più articolata la situazione per le estrazioni di gas su terra ferma, dove le esenzioni varranno per 19 aziende del settore per un valore di oltre 277 milioni di mc di gas esenti dal pagamento di royalties, pari al 12,7% del totale estratto su terra ferma. In particolare, sulle 55 concessioni esenti, sono 14 quelle di proprietà di Eni (associate comprese) su un totale di 20 operative nel 2018. Tutte le altre aziende coinvolte nelle estrazioni di gas su terra ferma, comprese Edison e controllate con 10 concessioni (pari al 100% di quelle operative nel 2018), sono esenti dal pagamento delle royalties.
I NO TRIV: “PARLIAMO DI UN’INEZIA” – Altra chiave di lettura è quella fornita da Enrico Gagliano, co-portavoce del Coordinamento nazionale No Triv. “Nel Catalogo sui Sussidi redatto pubblicato a luglio 2019 dal ministero dell’Ambiente – spiega – si ricorda come i limiti delle franchigie rientrano nei sussidi dannosi per l’ambiente (Sad) e sono stati fissati a livelli molto elevati che, nella grande maggioranza dei casi, superano i livelli di produzione annua effettiva dei giacimenti, determinando quindi una quasi generalizzata esenzione dal pagamento delle royalties dovute”. Stando al catalogo, la franchigia sulle aliquote di prodotto della coltivazione di gas naturale e petrolio vale 52 milioni di euro (dato del 2017). “Considerando che i Sad valgono 19 miliardi, 16,8 dei quali sono destinati alle fonti fossili – aggiunge Gagliano – quando parliamo di tutto il sistema delle franchigie, ci riferiamo ad appena lo 0,31 per cento dei sussidi alle fossili. Un’inezia”. Il dossier Stop sussidi alle fonti fossili pubblicato a marzo 2019, calcola che nel 2017 sono ammontati a 18,8 miliardi i sussidi (tra quelli diretti e indiretti al consumo o alla produzione di idrocarburi), ma stima anche in 58 milioni di euro i mancati introiti per lo Stato.
L’EFFETTO DI UN COMBINATO DI MISURE – Va ricordato che le modifiche apportate con la manovra si aggiungono a un lieve innalzamento del costo dei canoni inserito nel Decreto Semplificazioni e all’introduzione del pagamento dell’Imu per le sole piattaforme petrolifere marine (previsto nel decreto fiscale ed effettivo dal 2020) per cui è stata stabilita una gabella pari al 10,6 per mille e il cui gettito sarà ripartito tra Stato e Comuni, per un’entrata stimata in 30 milioni di euro l’anno.