Si sta per concludere un decennio di calcio italiano caratterizzato dal dominio incontrastato della Juventus, capace di segnare un record forse imbattibile nella storia della Serie A: otto scudetti consecutivi. Una dittatura calcistica di cui si sono resi indiretti complici anche le principali rivali storiche dei bianconeri Milan e Inter, incapaci in tanti anni di pianificare un progetto sportivo che potesse porre un freno a un gap tecnico, commerciale e strutturale che andava allargandosi di anno in anno. Dal triplete dell’Inter, all’ascesa nazionale e internazionale della Juventus, fino al miracolo Atalanta. Dieci anni, dieci momenti che hanno contrassegnato il calcio italiano: eccoli.

2010, il “triplete” dell’Inter di Mourinho – Il momento più memorabile è il 22 maggio a Madrid. Quello più importante, il 25 aprile. Se la finale di Champions League vinta contro il Bayern Monaco regala all’Inter un trionfo atteso da 45 anni, la sconfitta della Roma all’Olimpico contro la Sampdoria per 2-1 di fine aprile apre definitivamente la strada per la realizzazione dell’annata più incredibile mai vissuta da una squadra italiana. Almeno per quanto concerne il numero di titoli conquistati. Prima dei nerazzurri di Mourinho, infatti, nessuna squadra era mai riuscita a vincere nello stesso anno Coppa Campioni, campionato e Coppa Italia. La doppietta di Pazzini, che ribalta il vantaggio giallorosso di Totti, non è soltanto il momento del sorpasso decisivo dell’Inter in Serie A, ma è anche la spinta psicologica che trascina i nerazzurri all’impresa del Camp Nou nella semifinale di Champions League, nella finale di Coppa Italia dell’Olimpico contro la Roma e nell’ultima partita di campionato contro il Siena. Successi che portano la stessa firma d’autore: Diego Alberto Milito. Un 2010 che all’Inter porta anche una Supercoppa Italiana e un Mondiale del Club dopo l’addio di Mourinho, prima di una crisi tecnica e societaria durata nove anni. Fino all’arrivo di Antonio Conte nella scorsa estate.

2011, Milan-Inter 3-0 – Milan e Inter sono divise da soli due punti in classifica quando si ritrovano una di fronte all’altra il 2 aprile 2011. L’Inter è alla caccia del sesto titolo consecutivo e, con Leonardo in panchina, sta portando a compimento una grande rimonta da -10 in classifica. Il Milan, invece, è alla ricerca di uno scudetto che possa riportare il club alla pari cugini nerazzurri nella speciale classifica. Proprio per questo obiettivo nell’estate precedente il Milan si è affidato a Zlatan Ibrahimovic. Il grande ex però è squalificato per la sfida decisiva. In attacco il Milan si presenta con la coppia Pato e Robinho, con Seedorf in cabina di regia. Quaranta sette secondi e il derby è già sbloccato con Pato, autore anche della rete del raddoppio. Il 3-0 lo sigla Cassano su calcio di rigore nei minuti di recupero. Ispirato da uno dei migliori Seedorf della carriera, il Milan ottiene i tre punti che, di fatto, valgono il titolo, arrivato ufficialmente un mese e mezzo dopo con lo 0-0 contro la Roma. L’ultimo squillo di una squadra destinata di lì a poco a sciogliersi definitivamente, entrando in una crisi che ancora oggi non conosce una fine precisa.

25 febbraio 2012, Milan-Juventus 1-1, la “rete” di Muntari – L’arbitro di porta prima, il Var e la Goal Line Technology poi. Innovazioni regolamentari che hanno caratterizzato questo decennio di calcio italiano e che hanno un punto di partenza comune: la “rete” di Muntari del 25 febbraio 2012. Probabilmente uno degli errori arbitrali più dibattuti e clamorosi degli ultimi trenta anni di Serie A. Secondo soltanto al contrasto in area di rigore tra Ronaldo e Iuliano del 1998. Entrato di almeno mezzo metro dentro la porta di Gigi Buffon, il colpo di testa di Sulley Muntari non assegnato dalla terna arbitrale – che avrebbe portato il Milan di Massimiliano Allegri sul 2-0 in quello scontro diretto per il titolo – non ha rappresentato soltanto il momento più importante nella lotta scudetto tra Milan e Juventus – che vedrà i bianconeri tornare a conquistare il tricolore sei anni dopo Calciopoli – ma ha significato il punto di non ritorno di un’evoluzione tecnica non più rimandabile. Dopo quella data appare evidente a tutti come anche per il calcio fosse giunto il tempo di una riflessione seria sull’opportunità di introdurre un supporto ai direttori di gara.

2013, la tripletta di Giuseppe Rossi alla Juventus – Fiorentina-Juventus, 20 ottobre 2013. È lo stadio Artemio Franchi il teatro di una sorta di redenzione calcistica. Protagonista uno dei talenti più grandi che il calcio italiano è stato capace di proporre negli ultimi dieci anni: Giuseppe Rossi. Reduce da due interventi al ginocchio destro ai legamenti e autore di un inizio di campionato incoraggiante – con cinque reti sette partite – l’ex attaccante del Villareal è l’uomo nuovo su cui i tifosi fiorentini sperano di spezzare un tabù che ormai dura da troppo tempo. Contro gli storici rivali bianconeri la vittoria manca in casa dalla stagione 1998/1999, quando un colpo di testa di Batistuta bastò per lanciare la Viola in testa alla classifica. Dopo i primi 45 minuti conclusi sul 2-0 per la Juventus, grazie alle reti di Tevez e Pogba, una storia già vista altre volte muta radicalmente, regalando alla Fiorentina una pagina da ricordare. In venti minuti la Viola ribalta la situazione e trafigge quattro volte la porta di Buffon. Giuseppe Rossi mette a segno una tripletta che lo proietta in vetta alla classifica cannonieri. Purtroppo per Rossi la sfortuna tornerà a presentargli un conto che ancora oggi gli impedisce di avere una carriera degna del suo talento. Ma, al di là delle rivalità sportive, per un pomeriggio tutto il calcio italiano è stato esaltato dalle gesta di un giocatore riuscito a tornare a un livello di eccellenza dopo due terribili infortuni, illudendosi di aver trovato un nuovo trascinatore per una nazionale già in fase calante.

2014, la Juventus dei 102 punti – Trentatré vittorie, tre pareggi e due sconfitte in 38 giornate. Diciassette punti di vantaggio sulla Roma. Centodue punti totali. Sono i numeri dell’ultima Juventus di Antonio Conte, quella del 2013/2014, capace di vincere il terzo scudetto consecutivo segnando il record assoluto di punti conquistati nel campionato italiano. Nella storia della Serie A nessuna squadra era mai riuscita a sfondare il muro dei cento punti in graduatoria. Un percorso che vide la Roma di Rudi Garcia come l’avversario più credibile di un’annata che mantenne un equilibrio fino alla tredicesima giornata di campionato, quando, dopo l’incredibile filotto di dieci vittorie consecutive dei giallorossi, la Juventus riesce a issarsi da sola in testa alla classifica, mantenendo la vetta fino al termine. Un dominio nazionale che contrasta con la doppia delusione europea patita nell’arco di quella stagione. Prima l’eliminazione dai gironi di Champions League per mano del Galatasaray, poi la sconfitta ai rigori nella semifinale di Europea League contro il Benfica che impedisce alla squadra bianconera di accedere alla finale che si sarebbe giocata proprio allo Juventus Stadium.

2015, la riscoperta della Juventus europea – Atletico Madrid, Malmoe e Olympiakos nei gironi. Borussia Dortmund, Monaco e Real Madrid nella fase ad eliminazione diretta. È questo il cammino della Juventus che raggiunge dopo dodici anni la finale di Champions League. È la Juventus di Tevez, Morata, Pogba e Pirlo. Una squadra capace ormai da tre anni di imporre la propria superiorità in campionato con Conte, ma senza acuti rilevanti fuori dai confini nazionali. Con Massimiliano Allegri invece nasce una nuova Juventus. Più consapevole di poter imporre il proprio dominio anche in Champions League. La sconfitta contro il Barcellona è una grande delusione, ma anche l’inizio di una nuova fase della rinascita juventina post-Calciopoli. Quella a livello europeo. La finale di Champions League del 2017 e le eliminazione all’ultimo minuto contro squadre come Bayern Monaco (2016) e Real Madrid (2018) sono le conseguenze di quella cavalcata sorprendente che pose definitivamente la Juventus in un gruppo molto ristretto di club. Quello delle grandi del calcio mondiale.

2016, il record di Gonzalo Higuain – Sessantacinque anni. Tanto è durato il record di reti in un campionato a girone unico dello svedese Gunnar Nordhal, stabilito nel 1949/50 con 35 marcature. Era la prima stagione dalla tragedia di Superga, la bicicletta era il mezzo principale per raggiungere lo stadio e l’Italia portava ancora i segni della Seconda guerra mondiale. Inseguito tutta la carriera da Gabriel Omar Batistuta, a battere il record è un altro argentino: Gonzalo Gerardo Higuain. In quel primo Napoli di Sarri, arrivato secondo a nove punti dalla Juventus, Higuain è il trascinatore assoluto. L’uomo simbolo intristito nell’ultimo Napoli di Benitez ma rigenerato da quell’allenatore arrivato dalla provincia e senza un grande curriculum alle spalle. Capace di segnare da solo più di sei squadre di Seria A, Higuain riscrive la storia del campionato italiano il 14 maggio 2016. Nell’ultima giornata di campionato servono tre reti contro il Frosinone già retrocesso. Trascinato da uno stadio che vuol vivere una pagina indelebile della storia del calcio italiano, in appena diciannove minuti Higuain rovescia il ricordo di Nordhal. Allo stesso modo con cui infila il pallone del primato assoluto alle spalle del portiere Zappino.

2017, l’eliminazione dell’Italia da Russia 2018 – Una delle pagine più tristi nella storia del calcio italiano rappresenta il punto finale di una discesa iniziata sette anni prima, con l’eliminazione dai gironi del mondiale sudafricano. Arrivata seconda nel proprio girone dietro alla Spagna, la Nazionale di Giampiero Ventura si deve giocare l’accesso alla fase finale in Russia contro la Svezia. Squadra tradizionalmente ostica per i colori azzurri e già capace di estromettere gli azzurri dall’Europeo del 2004 con il famoso 2-2 con la Danimarca. Tra mille tensioni interne e polemiche per alcune scelte del commissario tecnico, un’Italia bloccata mentalmente viene sorpresa dalla formazione svedese con la tattica che più ha simboleggiato il calcio italiano nel panorama calcistico internazionale: il “catenaccio”. Dopo la sconfitta in Svezia per 1-0, gli azzurri non riescono a ribaltare il risultato nello scontro decisivo di Milano, terminato per 0-0 nonostante la spinta del pubblico di San Siro e le occasioni avute da Immobile, Florenzi e Candreva. L’esclusione di Insigne, lo sfogo in panchina di De Rossi e le lacrime di Buffon al fischio finale diventano le immagini più emblematiche di un fallimento tecnico e federale. Era dal 1958 che l’Italia non mancava a un mondiale. Sessant’anni. Per uno scherzo del destino, si giocava proprio in Svezia.

2018, l’arrivo di Cristiano Ronaldo – 10 luglio 2018. Centocinque milioni di euro per il cartellino. Trenta milioni netti all’anno di stipendio. Cristiano Ronaldo arriva alla Juventus accompagnato dai cinque Palloni d’Oro conquistati nell’arco della carriera e delle quattro Champions League vinte nelle ultime cinque edizioni del torneo (delle quali tre consecutive e una ai danni proprio dei bianconeri). Per molti etichettato come “l’acquisto del decennio”, l’arrivo di Cristiano Ronaldo a Torino è stato qualcosa di più di una prova di forza memorabile del club di Andrea Agnelli. È stato un colpo per tutto il calcio italiano, tornato improvvisamente ad attrarre un campione di caratura mondiale come non succedeva dall’inizio degli anni 2000. Sotto un certo aspetto gli arrivi di Ribery alla Fiorentina e di Lukaku all’Inter dell’estate del 2019 sono figli anche di quell’acquisto concretizzatosi nel giro di dieci giorni. Un acquisto che ha stranito e meravigliato tutta la Seria A, non più abituata ad accogliere uno dei giocatori più forti del mondo nel proprio torneo.

2019, l’anno dell’Atalanta – Dal 5-0 di Frosinone al 5-0 al Milan. Terzo posto in campionato ed esordio di Champions League con qualificazione agli ottavi di finale. Settantadue punti fatti nell’anno solare con 81 reti segnate (miglior attacco in assoluto in Serie A). Non può essere che l’Atalanta la squadra copertina del 2019. L’esempio di come si possa ancora fare grandi cose nel mondo del calcio senza passare obbligatoriamente dai fatturati milionari. Un anno che ha avuto solo una pecca: la finale di Coppa Italia persa contro la Lazio. Una delusione che non toglie niente a una realtà entrata di prepotenza tra le grandi del nostro calcio. Sostenuta da uno dei migliori vivai del calcio italiano, da quando è arrivato in panchina Giampiero Gasperini nella stagione 2016/2017, la crescita della squadra orobica è stata esponenziale. Grazie a competenza, intuizione e pazienza, l’Atalanta ha saputo cambiare la sua stessa storia, passando dai piani bassi a quelli alti della classifica. Dalla battaglia per non retrocedere a quella per accedere alla Champions League. Un cambio di prospettiva che rende i nerazzurri bergamaschi un gioiello unico e un piccolo orgoglio per il calcio italiano. E pensare che tutto era iniziato con quattro sconfitte nelle prima cinque partite che avevano messo in dubbio la panchina di Gasperini.

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