Cinema

Tolo Tolo, tre motivi per andare a vedere il nuovo film di Checco Zalone. E tre motivi per non andarci

Sta per uscire. E' l'evento cinematografico più atteso del Bel Paese. Abbiamo provato a capire per quali motivi vale la pena scapicollarsi al cinema e quali sono invece le ragioni per preferire una serata sul divano

di Davide Turrini

Tre motivi per cui non vale la pena vederlo

1-Non è possibile, davvero, tollerare ancora una volta la doppia lettura concettuale altissima di ogni sospiro zaloniano. Negli anni passati c’erano le teorizzazioni di Gilles Deleuze, e per inciso Deleuze non era mai riuscito ad ripetere lo stesso concetto due volte da solo e sui propri argomenti, figuriamoci chi ne è esegeta. Nei giorni scorsi invece è sbucato il Derossi dal primo banco ricordando che il Checco in scena con l’eloquio di Mussolini che gli ronza in testa cita il Primo Levi di Se questo è un uomo. Ora, davvero, mica per essere snob (ho appena rivisto Il ragazzo di campagna restaurato e con il backstage ridendo come un pazzo) ma davvero di questo tavolinetto da sala da tè dove si passa dal bingo bongo all’aulico anche no. Ma se un testo come quello di Tolo Tolo è sommariamente battute sul fisco, sulle tasse, sulla burocrazia, sia metterci (da parte degli autori) che leggerci (da tutta la stampa) Levi, dio santo, non si tollera. Zalone è il basso che esagera e lo fa con devastante regolarità e costanza. In questo vanno riconosciuti meriti e successi. Il tentativo dell’alto sapienziale (che dire della battuta sulla declinazione in latino sbagliata da Checco e sottolineata dall’amico africano? Che palle!) è qualcosa di così innaturalmente artefatto che sarebbe come chiedere a Stanlio e Ollio di mettersi a citare Shakespeare dopo ogni “stupìdo” o a Massimo Boldi di inalberarsi tra le righe di Umberto Eco dopo ogni “che dolore pazzesco”.

2- Non si capisce mai cosa Tolo Tolo voglia raccontare davvero. Il razzismo celato in ognuno di noi? Il rapporto (im)possibile tra bianco italiano e nero africano? L’italiano malvoluto respinto dal suo paese al pari degli africani? A parte l’istrionismo comico, la raffica di doppi sensi, di equivoci, di freddure, di allitterazioni, Zalone cerca, mai come in Tolo Tolo, di prendere una posizione politica o, almeno, di produrre un giustificativo alla gauche caviar e alla borghesia centrista che l’ha elevato a maitre a penser quando l’onda degli incassi arrivava a 65 milioni di euro (e non prima). Così si assiste all’esibizione della tragedia (i migranti in mare) nel segno opposto della commedia in musical (i migranti travolti dall’onda ballano in acqua, manco fosse un film surreale di Elia Suleiman) e proprio indifferenti, comunque, in quell’attimo non si riesce a stare. Poi, come sempre in Zalone, va bene tutto e il contrario di tutto. I progressisti si mettono ad amarlo, giustificano il politicamente scorretto dicendo che Zalone mastica razzismo e fascismo per dirla contro a Salvini, intanto il leader della Lega lo vuole fare senatore a vita e Zalone risponde: “Non è un film contro Salvini”. Insomma, va bene il trasformismo, le capriole, e giravolte, Italia Viva che vota sì al governo poi dice che non va bene nulla, ma Zalone rispetto all’oggi, dopo averlo cavalcato intelligentemente (furbescamente?), da qualche parte sta o se ne frega di tutto?

3 – Va bene la gag narcisistico borghese della cremina antirughe cercata in piena Africa dal Checco viziato, bianco tra i neri, granello di sale in un mare di cacao. Ma quel trucco malandrino di una barba ritoccata e ricalcata in alcuni punti, ma soprattutto di quella matita attorno agli occhi a che serve? Sono anni che registriamo la ricorrenza di questo espediente e non ne comprendiamo il motivo. Estetico? Concettuale? Puramente ornamentale? È il tentativo di creare una “maschera” universale? Boh. Eppure il segno c’è è si vede. Che vorrà dire non si sa. Però è parecchio stucchevole nella sua vezzosità. Checco sciantosa. Anche basta.

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