Sta per uscire. E' l'evento cinematografico più atteso del Bel Paese. Abbiamo provato a capire per quali motivi vale la pena scapicollarsi al cinema e quali sono invece le ragioni per preferire una serata sul divano
Tre motivi per cui vale la pena vederlo
1 – Per una volta non abbiamo un film di Checco Zalone con in scena solo Checco Zalone a sfrangarci gli zebedei per un’ora e mezza nello snocciolare tutte le battute possibili, immaginabili su tasse, fisco, previdenza sociale, burocrazia. Insomma il momento bar, quello del tizio al bancone che attacca e non finisce più, che ti ammorba di tutta la sua spassosissima sagacia da chi la sa più lunga, in Tolo Tolo si disperde (senza esagerare, sia mai) in qualcosa di più completo, allargato, profondo (senza esagerare, sia mai) del protagonista prisma monologante, e tutto il resto è noia. Insomma Tolo Tolo ha più respiro cinematografico di un qualsiasi Sole a catinelle o Cado dalle nubi. Si chiama maturità artistica (senza esagerare, sia mai) ed è un punto a favore di Zalone che, ovviamente, non ha bisogno di nulla da nessuno. Ma il dato c’è e si vede.
2- Le sequenze demenzial/surreali in musica sono davvero divertenti e curate. Che Checco Zalone abbia un’anima da musicista e il suo cinema possa trasformarsi in musical lo si sapeva. Con Tolo Tolo libera la sua poetica creativa come un reale compositore di musical anni settanta con deviazione umoristica. Intanto l’uso extradiegetico e classico di brani tradizionali che fanno da corollario significante (Vagabondo di Nicola Di Bari, L’arca di noè di Sergio Endrigo, Viva l’Italia di Francesco De Gregori, per dirne alcuni) non sfigurano mai nella trametta allestita per richiamare il senso delle gesta di Checco e della sua compagnia di fuga. Poi gli almeno tre brani originali (ce n’è almeno un altro, ma non ne troviamo traccia nelle note date alla stampa) sono pura follia artistica che a dire il vero, a noi fanno molto più ridere delle tante gag a raffica sui moduli delle tasse o sul sushi a Spinazzola. Il Se t’immigra dentro il cuore è espressivamente volgarissimo ma a suo modo teneramente delicato. L’ultimo brano costruito su una sfrenata, irriverente, bambinesca sequenza d’animazione che si rifà a Pomi d’ottone e manici di scopa è assolutamente imperdibile. Immigrato ha già fatto parlare di sé e quando arriva verso il fondo del film è talmente incastonato nel racconto da far rotolare agevolmente il più legnosetto finale recitato nelle piazze di Trieste. Per finire il punto più alto di tutto il cinema di Zalone. Qualcosa tra il Frank Matano più delirante e gli spot pubblicitari più kitsch degli anni ottanta/novanta. Mino Reitano canta Italia e Zalone con a fianco la bella Idjaba (Manda Touré) riattraversa tutti i luoghi (comuni) italiani dove le comparse in poche decine di secondi al posto della pelle bianca hanno tutte la pelle nera. L’abusivo Zalone è un’Alice nel paese delle meraviglie grottesco e cartonato, turistico e politico, testimone del belpaese da Venezia a Firenze, come nient’altro nel film. In questo minuto, minuto e mezzo, forse due, Tolo Tolo è addirittura un capolavoro.
3- Zalone regista sa dirigere gli attori. L’abbiamo detta e non tiriamo di certo indietro la mano. Non capiamo quanto Paolo Virzì possa aver influito nel dirigere materialmente dialoghi a due, a tre e a quattro attori in scena, ma soprattutto nelle tante sequenze con parecchie comparse, in alcuni casi di massa. Fatto sta che l’elaborazione di un’inquadratura che non sia mero supporto della battuta è evidente. Certo non siamo dalle parti di una regia espressionista o della camera a mano di Muccino, ma Zalone sa cosa inserire dentro al quadro, quale angolazione e taglio dargli, in quale tempo andrà montato il frammento x legato a quello y successivo. E poi mentre in film come Contromano o Scappo a casa gli attori africani/francesi sembravano davvero tirati per i capelli e costretti alle pose della figurina vittima e debole, in Tolo Tolo c’è una vitalità, una dinamicità e una onestà nella loro rappresentazione comica tanto da diventare performativamente concorrenziali con la megalomania dello showman protagonista.