È amaro l’inizio d’anno per Atlantia. Se l’Italia discute da tempo sul ruolo della holding con a capo la famiglia Benetton nella gestione della rete autostradale, la Spagna ha preso decisioni significative. Già nel 2019 per la autopista AP-4 tra Siviglia e Cadice – un tratto di 93,8 chilometri gestito da Abertis (società del Gruppo quotata alla Borsa di Madrid) – si annunciava il mancato rinnovo della concessione. Agli avvertimenti sono seguiti i fatti: dal 1° gennaio sul tratto che collega le due città andaluse Atlantia ha iniziato a smobilitare.
Non è stata messo in discussione la manutenzione del tratto autostradale, né, con buona pace di tutti, sono caduti viadotti o pezzi di copertura di gallerie. Da qualche tempo la Spagna sta rivisitando il modello di gestione della sistema viario, semplicemente. Un piano, nelle intenzioni, teso a favorire gli utenti, con la riduzione o in taluni casi l’eliminazione del pedaggio, e con i costi di manutenzione destinati a passare agli organi ministeriali. In sostanza lo Stato riprende il controllo di fondamentali infrastrutture con conseguente arretramento dei privati. Una prospettiva che non turba il sonno degli spagnoli, abituati a servizi pubblici di qualità, mediamente più affidabili di quelli offerti nel Belpaese.
Per Atlantia le previsioni sui cieli spagnoli sono plumbee: la concessione andalusa valeva il 10 per cento del bilancio societario. Non va meglio verso levante, dove la compagnia perde l’altra concessione tra Tarragona e Alicante (la AP-7, autopista che corre lungo 468 chilometri con 16mila utenti giornalieri). Qui le proroghe statali si sono succedute nel tempo, ma solo dietro garanzie di investimenti sull’infrastruttura e di sconti a favore dell’utenza. Insomma, il contrario di quanto si è visto in Italia.
Un impatto pesante per il gruppo della famiglia Benetton, il quale perde d’un colpo il 30 per cento dei 1559 chilometri direttamente gestiti in terra iberica, con una contrazione degli utili che sarà pari a quasi il 30% quando il prossimo 31 agosto verrà a scadenza la concessione più ambita, quella dell’ultimo tratto della AP-7 tra la Catalogna e la frontiera francese. E immediate ripercussioni sui livelli occupazionali con varie procedure per licenziamento collettivo aperte negli ultimi mesi a carico di operai e quadri dirigenziali.
Tira decisamente una brutta aria sui concessionari: Abertis lo scorso luglio si era vista respingere dal Tribunale Supremo di Madrid il ricorso col quale chiedeva allo Stato un cospicuo risarcimento di 785 milioni di euro. A dire del concessionario, la costruzione di arterie lungo il sistema viario parallelo alle autostrade, in particolare attorno alla AP-7, e una più accurata manutenzione di strade alternative avrebbero danneggiato il gestore privato limitandone i guadagni. Come dire, si è rivendicato in giudizio il diritto a fare terra bruciata intorno a una rete pubblica gestita da privati. Un atteggiamento arrogante che non ha trovato ingresso nelle aule di giustizia; anzi il Supremo ha sottolineato come era dovere dello Stato migliorare il sistema nell’interesse dei cittadini, svuotando così il ragionamento di Abertis fondato sulla pretesa che infrastrutture prossime ai circa 500 chilometri di autostrada concessa alla società non andavano potenziate o, chissà, dovevano essere lasciate lì a deperire.
Il cerino passa ora nelle mani dello Stato: in questi giorni nelle stanze del ministro dello Sviluppo, il socialista José Luis Ábalos, è il momento delle decisioni. Recuperata la gestione della rete infrastrutturale occorre trovare risorse in tempi di ristrettezze economiche e vedere se il pedaggio sarà cancellato in via definitiva oppure se, come richiesto dalla lobby ferroviaria che rischia di perdere quote di mercato, si passerà a tariffe più morbide, ridotte di un 50% rispetto a quelle sin qui praticate. Vediamo chi si brucerà.