Bonus latte e bonus asili: che ci può essere di male in due bonus dal nome così candido? Ecco qualche riflessione critica.
Il contributo per l’acquisto di sostituti del latte materno, che arriva a 400 euro, è “rivolto alle donne affette da patologie che impediscono l’allattamento al seno.” Ma chi stabilisce che una donna abbia queste patologie, rarissime tra l’altro? Il pediatra? Anche Ibfan Italia, l’Acp (associazione culturale pediatri), il Tas (tavolo tecnico operativo interdisciplinare sulla promozione dell’allattamento al seno) sono critici: “Le conoscenze sui rischi associati all’alimentazione con sostituti del latte materno per mamme e lattanti sono numerose e coerenti; i rischi sono maggiori per quelle coppie madre/bambino inserite in un contesto di fragilità quali povertà e disagio sociale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea l’importanza di non procedere con donazioni di sostituti del latte materno neanche in corso di emergenze, ma di mettere in atto tutti gli interventi a sostegno dell’allattamento. D’altra parte, in caso di assoluta impossibilità di allattare (madre Hiv+ o di patologia congenita) la fornitura di sostituti del latte materno è garantita dal nostro servizio sanitario gratuitamente (D.M. 8 giugno 2001, che ha trovato applicazione in tutte le regioni)”.
Non è per oggettivi motivi medici, quindi, se la maggioranza delle donne italiane ricorre al latte artificiale nei primi 6-7 mesi di vita del bambino: dopo tre mesi dalla nascita del piccolo, il 30% delle madri ha già interrotto l’allattamento e la metà di quelle che allattano lo fanno in modo misto. Soltanto il 2% dei bambini italiani viene allattato in modo esclusivo a sei mesi di vita. Impossibile che in Italia ci sia una simile concentrazione di problemi sanitari!
Il successo dell’allattamento al seno dipende dal benessere psicofisico della madre, dalla cultura che la circonda, dalla possibilità materiale della donna di avere tempo per stare con suo figlio, dal sostegno parentale, amicale e di professionisti. Dipende anche dagli enormi interessi legati alla vendita del latte artificiale: ricordate gli scandali legati alla corruzione di pediatri da parte di ditte del latte artificiale?
I bonus latte, prescritti dai pediatri, andranno solo a donne oggettivamente impossibilitate ad allattare o a donne che non sono state sostenute abbastanza? Non saranno un lauto affare per le multinazionali e un ulteriore danno al benessere di donne e bambini? Per tutelare le donne che allattano, occorrono forse più permessi allattamento, anche per i lavori meno tutelati e atipici.
Occorre il diritto al part time, occorre implementare il telelavoro che in Italia è al palo (7% di telelavoratori, mentre la media europea è del 17% e in Danimarca, Svezia e Olanda il 30%).
E qui veniamo al Bonus asili nido. Si parla di asili nido gratis per tutti e di “educazione fin dalla culla”. Bene, ma… siamo proprio sicuri che a 3 mesi ci sia bisogno di educazione? È davvero giusto e positivo che un bambino sia lasciato al nido a 3-4 mesi di vita, per 8 (e più) ore al giorno? Gli psicologi ci mettono in guardia da una precoce e prolungata separazione tra genitori e bambino. Eppure sembra che non ci siano alternative: nel terzo millennio, con la tecnologia che avanza, siamo ancora schiavi dei ritmi del lavoro, della sovrapproduzione del sovraconsumo.
Oltre a generare traffico, incidenti e inquinamento, questa frenetica concezione del lavoro alimenta lo stress delle famiglie, la difficoltà a conciliare tempo di cura e tempo di lavoro, obbligando soprattutto le donne a scelte difficili.
Secondo una ricerca di Eurofound (2017), nei paesi (Olanda, Svezia, Danimarca…) dove si è incentivato il telelavoro e dove ci sono ulteriori politiche di conciliazione (flessibilità oraria, part time, aspettative, sussidi per accudire i bambini nel primo anno di vita), c’è un tasso di occupazione femminile maggiore, ma allo stesso tempo i bambini stanno più tempo con i genitori, in modo equo tra padre e madre.
Questo è il progresso, questa è civiltà, lì dobbiamo andare. Anche perché, come dimostrano varie ricerche, una graduale riduzione dell’orario di lavoro, unita ad altre riforme (riduzione di produzione e consumo nei paesi più ricchi, aumento tassazione capitali e carbon tax), permetteranno di ridurre le emissione climalteranti al 2050 come chiesto dall’Accordo di Parigi. Non bazzecole!