Scegliere un volto noto come testimonial di una campagna pubblicitaria rappresenta una decisione strategica vincente dell’azienda/brand, soprattutto se il partner risulta essere credibile e, ancor più, se crede in ciò che rappresenta.
A tal riguardo, mi sono sempre chiesto, guardando gli spot pubblicitari di banche e società finanziarie, quanto e cosa sapessero di quell’azienda o di quel prodotto i personaggi del mondo della cultura, informazione, spettacolo e sport chiamati a fare i testimonial. Probabilmente nulla! Come la maggior parte degli italiani, tra l’altro, che in termini di informazione e cultura finanziaria sono tra i meno preparati rispetto ai cittadini Ue e di altri Paesi avanzati.
Una cosa è certa: il testimonial viene scelto per rappresentare un brand. Il marchio, a cui si associa il personaggio persona fisica che lo pubblicizza, deve rispecchiarsi nel testimonial e viceversa. Si assiste, molto spesso, a una simbiosi tra brand e persona. Simbiosi talmente forte che i contratti che di solito regolano questo tipo di pubblicità possono prevedere clausole e obblighi comportamentali che devono essere rispettati dal testimonial anche nella vita privata. Perché il personaggio famoso ha delle responsabilità ben precise che riguardano anche la vita privata, nei confronti dei suoi fan e del brand che pubblicizza.
All’interno dei contratti ci sono molto spesso anche le cosiddette clausole morali. In altri termini la celebrity ha l’obbligo, ad esempio, di mantenere nella vita privata comportamenti eticamente corretti oppure di non rilasciare dichiarazioni che in un certo qual modo possano incidere negativamente sulla reputazione dell’azienda. Ma, in termini di responsabilità, è garantita la reciprocità? Cioè i vip si sono mai preoccupati di tutelarsi dai rischi derivanti dalla bad reputation del brand bancario o del prodotto finanziario?
Sono certo che il brillante attore Enrico Brignano, benché interprete di uno dei più esilaranti monologhi contro le banche, non immaginasse neppure cosa si potesse celare dietro la gestione della Banca Popolare di Bari quando è stato ingaggiato per la convention aziendale; così come sono convinto che il simpaticissimo Nino Frassica non sia assolutamente consapevole del fatto che, pubblicizzando una carta di credito revolving (carta Easy di Compass), stia spingendo i cittadini ignari verso un prodotto di fatto usuraio (tasso medio circa 16%; soglia usura del 24%) e in una spirale senza fine di pagamenti imposti prima di poter sancire la chiusura del debito.
Non solo, ma nei miei 22 anni di permanenza in quel sistema mi sono spesso imbattuto in famosi e gloriosi personaggi del mondo dell’informazione che partecipavano, retribuiti profumatamente, a convention aziendali dove si magnificavano i comportamenti virtuosi del management (di banche poi coinvolte in scandali e default). Ho ascoltato peana che la propaganda della Romania di Ceaușescu al confronto sembrava ridicola.
Quello che stona, però, è che poi molti di quei personaggi – non sicuramente quelli sopra citati – spesso vanno in televisione a fare i moralizzatori del sistema-Paese nel rispetto di una etica dei comportamenti che riguarda però sempre gli altri.
Etica, che parolone. E soprattutto che abuso improprio nel nostro Paese. Spesso confusa con il concetto di onestà. Senza voler scomodare filosofi e Sacre scritture, forse è il caso di ricordare semplicisticamente che una persona onesta è “quella che non ruba” mentre una persona orientata a vivere secondo principi etici è “quella che non solo non ruba, ma che se vede un altro rubare lo denuncia”, intendendo come denuncia anche la capacità di dire no a un’agenzia pubblicitaria. Perché la faccia c’è chi ce la mette e chi ce la rimette.