scritto con Paolo Zignani
La crescita dell’acciaieria Arvedi continua rapidamente, anche troppo per evitare disagi ai residenti della zona.
Grazie al raddoppio del 2009, la produzione di acciaio era aumentata da 900mila a 2 milioni e 400mila tonnellate l’anno e l’attività è diventata continua, 24 ore su 24. I forni erano diventati due: uno è stato poi sostituito nel 2016 con un impianto di tipo “Quantum”, quindi elettrico; l’altro, che già era elettrico, viene sostituito da un nuovo forno in questo periodo. Di conseguenza, la produzione potrà aumentare ancora e di un rilevante 20%, arrivando a 4 milioni e 250mila tonnellate annue. Cremona ormai sfida Taranto che nel 2023, in caso di rilancio – forse anche grazie al coinvolgimento di Arvedi – arriverebbe a 8 milioni di tonnellate annue.
L’acciaieria sorge fra due paesi, il Comune di Spinadesco e quello di Cavatigozzi. Quest’ultimo un tempo faceva anch’esso Comune e ora è frazione di Cremona, città che, tanto più dopo il taglio dei trasferimenti statali agli enti locali, ha bisogno di sponsor e benefattori: Giovanni Arvedi, cavaliere del lavoro, fra le altre donazioni si è impegnato con la sua fondazione anche nella costruzione del polo universitario della Cattolica.
Per diversi abitanti, però, le opere pubbliche finanziate Arvedi sarebbero in realtà compensazioni ambientali. Il territorio, un tempo agricolo, dopo trent’anni è stato consacrato all’industria pesante, fra depositi di scorie, la discarica di inerti di Crotta d’Adda – fra le maggiori d’Europa -, la zincheria, il tubificio, l’acciaieria e ora il nuovo tubificio in costruzione.
E il fatturato cresce anche grazie alla trasformazione di parte delle scorie in sottoprodotti da utilizzare in edilizia e nel sedime stradale. L’acciaieria fagocita la città e la ricostruisce: a Cavatigozzi la scuola rischia di chiudere e il paese rischia sempre più di diventare un dormitorio. Il rumore del gruppo siderurgico, oltretutto, è ancora fonte di problemi, come testimonia l’ultima relazione dell’Arpa, malgrado il piano di risanamento acustico imposto cinque anni fa dall’amministrazione provinciale.
Fra i rimedi, la stessa Arpa prevede però l’aumento della soglia dei decibel e la riclassificazione di un’area di Spinadesco a industriale. L’acciaieria trasforma il territorio e a volte lo divora. Gli impianti dell’ex raffineria Tamoil, una volta smontati e ripuliti, saranno infatti smaltiti nei forni Arvedi, che ultimamente ha ricevuto un’altra autorizzazione: potrà fondere i vagoni ferroviari dismessi, a partire dai suoi, quelli della società Sograf, e chissà, in futuro, forse anche quelli di Trenord.
Chiuso un mostro inquinante della Tamoil, condannata in Cassazione nel 2018 per disastro ambientale (sversamento di idrocarburi da raffineria), come dicono a Cavatigozzi se ne sviluppa un altro. L’amministrazione provinciale ha emesso sette diffide al gruppo industriale, dal 2012 al 2019, per non aver rispettato le prescrizioni dell’autorizzazione ambientale integrata. E l’Arpa ha constatato tempo fa l’esistenza di fumi diffusi, che non fuoriuscivano dai camini, ma dai tetti, e quindi non sono trattati né depurati come gli altri.
Il bosco filtro, che pure faceva parte degli obblighi stabiliti dalla Via (Valutazione d’impatto ambientale) del 2016, rilasciata dalla provincia in occasione dell’installazione del forno quanto, dopo tre anni non è ancora stato realizzato. Non si trova posto per piantumare un bosco a Cremona, quindi forse si farà a Spinadesco.
Le battaglie ambientaliste hanno avuto limitato risalto sui mass media, ma i ricorsi, le segnalazioni dei rumori, degli odori, le email al Comune, all’Arpa, alla Provincia, alla Regione e al ministero dell’ambiente, oltre agli esposti, non si contano più. Il ricorso del 2006 è stato rivolto contro la regione, che esentò il raddoppio dell’acciaieria dalla Valutazione d’impatto ambientale. La sentenza del Consiglio di Stato è arrivata solo due mesi fa, a distanza di 13 anni: il ricorso viene respinto per “carenza di interesse”.
La regione dunque ha fatto bene a esentare dalla Via il gruppo siderurgico, perché i modelli matematici del 2006, in uso al Pirellone, consentivano di comprendere che l’inquinamento non sarebbe aumentato, ma diminuito grazie al raddoppio dell’acciaieria. Miracoli della tecnologia, mentre i politici non fanno che lodare il cavaliere del lavoro.
Ora il comitato di quartiere chiede al Comune di installare dei deposimetri per rilevare le polveri non sottili che vengono trovate sui davanzali e nei sottovasi, e poi sottoporli ad analisi chimica. Un sistema che Arpa Lombardia finora non ha mai applicato.