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Soleimani, le mosse di Trump allarmano il Papa. E in Vaticano è codice rosso

In Vaticano è codice rosso. Il pontefice segue costantemente gli avvenimenti in corso tra Teheran e Washington. L’uccisione del generale Soleimani campeggia dal 3 gennaio in prima pagina dell’Osservatore Romano.

L’escalation di Donald Trump preoccupa gravemente papa Francesco. Il cardinale Peter Turkson, prefetto del dicastero per lo Sviluppo, denuncia l’incombere di una “spirale di vendetta con tutti i segni… di tensioni e di guerra”. Il nunzio vaticano in Iran sottolinea con forza in queste ore un concetto basilare di Francesco: “La buona politica è al servizio della pace, la comunità internazionale deve mettersi al servizio della pace”.

L’Avvenire, giornale della Cei, riflette con esattezza (e con maggiore libertà da vincoli diplomatici) lo stato d’animo che regna nell’entourage papale. L’eliminazione del generale iraniano Qassem Soleimani – ha scritto in un editoriale di prima pagina – “è un‘uccisione a freddo… riflette l’atteggiamento incomprensibile e indifendibile dell’Amministrazione Trump, la quale sembra procedere ormai senza alcuna seria pianificazione strategica, per colpi di testa, mosse impulsive…”.

Da sempre il pontefice è in disaccordo con operazioni militari unilaterali, ammantate di buoni propositi, perché ne intravvede le finalità di potenza. Nel 2015, parlando alle Nazioni Unite a New York, aveva ricordato che “non mancano gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale”. Ancora più chiaro era stato nella conferenza stampa di ritorno dalla Corea del Sud nell’agosto 2014: “Dobbiamo avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto”.

Il Vaticano ha la memoria lunga, non ragiona seguendo il metro dei tweet ma dei decenni. In Vaticano ricordano che Giovanni Paolo II era contrario all’avventura americana in Afghanistan e nel 2003 sviluppò ogni azione diplomatica possibile per impedire l’invasione dell’Iraq propugnata dal presidente Bush e basata su affermazioni totalmente false sul possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein. Le guerre in Afghanistan e in Iraq sono state un disastro per gli Stati Uniti e il Medio Oriente e hanno alimentato potentemente la nascita dell’Isis e un’ondata sanguinosa di terrorismo nel mondo intero. Gli effetti si sentono ancora oggi.

La diplomazia vaticana è prudente, non si fa illusioni su manovre, attacchi, attentati provocati in questi anni dall’Iran; ma Oltretevere nessuno ha il minimo dubbio sulla responsabilità di Trump in questi giorni di abbandonare il “conflitto a bassa intensità”, che ha opposto in questi anni gli iraniani agli americani (e i loro rispettivi alleati), scatenando una escalation dagli esiti imprevedibili. L’uccisione del generale Soleimani non è avvenuta nel corso di una “normale azione militare”. E’ stato l’assassinio voluto e spettacolarizzato di un altissimo esponente dell’Iran. Una esibizione di potenza sovranista.

In Vaticano non dimenticano neanche l’azione negativa esercitata in questi decenni dalla destra espansionista israeliana, che all’inizio del secolo (premier Ariel Sharon) ha aizzato sistematicamente i dirigenti statunitensi all’azione contro Saddam Hussein e che in questi anni sotto il governo Netanyahu – in un mix di fanatismo nazionalista e fondamentalista – ha aizzato contro l’Iran per eliminare qualsiasi contropotere sulla scena mediorientale che possa frenare l’annessione crescente di territori palestinesi.

L’ultimo obiettivo di Netanyahu – la diplomazia vaticana lo ha registrato attentamente – è annettersi la Valle del Giordano. L’editoriale dell’Avvenire parla con chiarezza: “Avvicinarsi ad un conflitto aperto con l’Iraq (è) obiettivo neppure troppo velatamente auspicato dai falchi attorno a Trump o dalle lobby collegate ai circoli di potere più radicali di Israele e Arabia Saudita che influenzano l’erratico procedere della Casa Bianca”.

Chiuso in Vaticano, papa Francesco sta misurando le parole. Certamente affronterà la questione nell’imminente incontro con il corpo diplomatico. Ma il fossato tra Santa Sede e Washington si è drammaticamente allargato. Il pontefice non perdona a Trump di essersi ritirato dall’accordo con l’Iran sul nucleare e di sabotarlo apertamente, né di avere legittimato le pretese di annessione israeliane sulla parte orientale araba di Gerusalemme, sulle alture siriane del Golan, sulle “colonie” impiantate illegalmente in terra palestinese.

Francesco è allarmato dall’ideologia sovranista in crescita a Washington come altrove. “Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre – sosteneva l’agosto scorso in una intervista alla Stampa –. Porta alle guerre”.