di Matteo Maria Munno
Le Olimpiadi 2020, oltre a ricordare – colpevolmente – a tanti italiani che esiste qualcosa all’infuori del Dio Pallone, al momento si stanno distinguendo per due motivi: la potenziale assenza della Russia e la prima vera mossa del mondo dello sport contro il climate change. Ma andiamo con ordine.
Le olimpiadi senza madre (Russia)
Una fine dell’anno amara per gli amanti degli sport olimpici russi. Nelle ultime ore è stato presentato il ricorso formale al Tas da parte della Rusada (l’agenzia antidoping russa) per smuovere la decisione della Wada in merito all’esclusione della Russia e la sua bandiera per quattro anni. In pratica a corto raggio potrebbe non sventolare alcuna bandiera russa alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e nel corso dei giochi invernali di Pechino 2022.
Ciò che accadrà, però, avrà un effetto sull’economia moscovita: il ban della Wada si estende a eventi su scala globale come gli Europei (San Pietroburgo dovrebbe essere una delle città della rete degli Europei 2020), dai Mondiali qatarioti del 2022. Come “ciliegina” sulla torta l’esclusione andrebbe a minare seriamente la candidatura avanzata da Mosca circa la possibilità di ospitare i Giochi del 2032.
Il motivo è legato al famoso caso di doping esploso in Russia tra il 2014 e il 2015: dopo la riabilitazione avvenuta nel 2018 – con la condizione posta dalla Wada circa l’accesso al database della Rusada – ora si riapre una grande ferita nello sport globale. La linea del Cio inoltre è chiarissima: “Le falsificazioni sono un attacco alla credibilità dello sport e un insulto al movimento mondiale”.
I giochi di Greta
Tutte le volte che una metropoli ospita le Olimpiadi c’è fermento. Fermento nelle attività, nelle costruzioni, nelle ricostruzioni: nel presentare, insomma, il Paese con i vestiti della domenica, cioè senza alcuna macchia di sugo pronta a minare la sua credibilità. Il “vestito” che si sta allestendo in Giappone, però, dimostra di essere anche al passo con i tempi: l’obiettivo è quello di allestire dei Giochi a impatto zero, con un’ispirazione vagamente griffata Greta Thunberg.
La torcia, chiamata Sakura e ispirata al ciliegio giapponese, nasce da scarti di alluminio, così come le medaglie nascono da scarti di smartphone e i podi dalla plastica. Inoltre nei pressi delle varie venues saranno presenti tanti accorgimenti green, come luci che si attivano con fotocellule e pavimentazioni adatte a chi si sposta a piedi lasciando l’auto parcheggiata sotto casa.
Insomma, tra il torbido del caso russo e il desiderio green dei giochi di Tokyo, si va a delineare quello che può essere il prossimo cerchio olimpico. Si tratta di uno yin-yang, simbolo di origine cinese e che tra i vari significati va a contrapporre la positività e la negatività. In attesa di capire quale delle due sensazioni prevarrà, che ne dite di cominciare a imparare i nomi del team Azzurro?