Il mezzo secolo di vita è stato celebrato durante la partita vinta con Reggio Emilia al PalaDozza. Quasi più nota della squadra di cui è espressione, la curva ha attraversato (e contribuito a scrivere) tutta la storia tormentata della Effe
Al governo c’era la Dc di Mariano Rumor, lo scudetto andava al Cagliari di Gigi Riva, la tivù era in bianco e nero e internet ancora non esisteva. Era il 1970 e a Bologna, sponda Fortitudo, un gruppo di amici dava vita al primo gruppo ultras italiano di pallacanestro, la Fossa dei Leoni. E non poteva che succedere in quella che negli anni a venire sarebbe stata ribattezzata Basket City sulla scena europea. Di quei ragazzi sfrontati e ribelli, però, nessuno immaginava che il gruppo avrebbe scritto la storia del tifo, varcando i confini nazionali e spegnendo ben 50 candeline. Un compleanno speciale, festeggiato nella partita contro Reggio Emilia – vinta 86-69 – della Fortitudo, tornata in Serie A dopo dieci anni.
Mezzo secolo di tifo per la Effe racchiuso in uno spettacolo di 50 minuti nel prepartita, con filmati e dieci coreografie in serie: dai primi derby con la Virtus alle finali di Eurolega e agli scudetti, dagli anni bui del fallimento e delle faide intestine al popolo fortitudino fino alla rinascita, anche grazie alla Fossa. Sì, perché se è vero che senza Fortitudo non ci sarebbe la Fossa dei Leoni, altrettanto si può dire del contrario. Basti pensare che l’attuale nome societario nasce dall’affiliazione fatta dagli ultras fossaioli, quando, soli contro tutti, seppero indicare la strada maestra per ricompattare i pezzi di Fortitudo persi nella diaspora delle vicende giudiziarie. E non è un caso, infatti, che fuori dall’Italia in tanti tifino Fortitudo spinti dall’amore per la Fossa, una famiglia allargata che negli anni ha accolto migliaia di persone, diventando un punto di riferimento per la Bologna biancoblù. Un legame ben visibile non solo durante le partite, quando la curva coinvolge nel tifo tutto il PalaDozza – ‘tempio sacro’ del popolo fortitudino -, ma anche in città. Uomini, donne, giovani e anziani: non è difficile scorgere il leone ruggente della Fossa passeggiando sotto le Due Torri. Dalle sciarpe alle magliette, dai giubbotti fino agli adesivi sugli scooter di professionisti in giacca e cravatta.
Le origini: i ‘maragli’ di periferia contro la Bologna bene delle V Nere – Fondata nel 1932 come costola della Società Ginnastica Fortitudo (la casa madre), la Fortitudo Pallacanestro si caratterizza sin dalle origini come la squadra della Bologna minore, cui si avvicinano prevalentemente giovani e meno abbienti. Tifare per l’Aquila con la Effe scudata non è una scelta facile: la borghesia cittadina e gli ambienti che contano hanno già scelto le canotte della Virtus – più antica di qualche anno – per costruire un futuro di successi. Un divario, sociale e sportivo, che si trasforma ben presto in desiderio di rivalsa, che un manipolo di ragazzini esprime soverchiando con un tifo indiavolato il pubblico virtussino, assai più compassato. Davide contro Golia, quindi, proprio come succede il 21 dicembre 1969, quando lo statunitense Gary ‘Baron’ Schull, nonostante le botte e il sangue copioso sulla canotta, trascina la Effe alla vittoria contro gli odiati bianconeri del connazionale Terry Driscoll, contribuendo a forgiare lo ‘spirito Fortitudo’. Quei ‘maragli’ si organizzano, fondando la Fossa dei Leoni: nome ispirato dai pionieri ultras rossoneri, che nel 1968 avevano dato il la a un nuovo modo di tifare nelle curve di calcio: cori, striscioni, bandiere e tamburi.
Dal furto della coppa ai successi della Effe – Aprile 1977, finale di Coppa Korac a Genova contro la Jugoplastika Spalato. Non ancora sopite le polemiche per la squalifica dell’argentino Carlos Raffaelli – talento della Fortitudo -, un arbitraggio molto contestato mette il trofeo sulla strada slava, per la soddisfazione del segretario generale della Fiba Borislav Stankovic. Ma i fossaioli non ci stanno e invadono il campo, rubando letteralmente la coppa, poi restituita dopo il parapiglia scatenatosi sul parquet. È questa l’attitudine che contraddistingue i biancoblù, figli di un dio minore ma desiderosi di sovvertire lo status quo da protagonisti, senza rinnegare le proprie origini. Attitudine che non muterà anche quando la Fortitudo approderà tra i grandi del basket, negli anni Novanta. La Coppa Italia, le Supercoppe e gli scudetti, trainata da campioni del calibro di Carlton Myers e Gianluca Basile. E ancora: i dieci anni di finali playoff e di Eurolega, attaccando lo striscione della Fossa a Mosca, Istanbul, Belgrado, Parigi o Valencia. Eppure, i tifosi fortitudini ricordano più sconfitte che vittorie, soprattutto nei confronti con la Virtus, spesso trasformati in scazzottate, sugli spalti e addirittura in campo: è celebre la rissa in Eurolega del marzo ’98, con i giocatori delle due squadre a picchiarsi in eurovisione. Senza contare il famigerato tiro da 4 di Sasha Danilovic – che negò il primo scudetto alla Effe a 18 secondi dallo scadere – e la sconfitta di Monaco di Baviera alle Final Four, davanti a migliaia di bolognesi di ambo le parti.
Fallimento, diaspora fortitudina e rinascita – Ma sono i guai societari a mettere più a dura prova lo spirito Fortitudo, tra esclusione per inadempienze economiche, campionato dilettanti, radiazione e fallimento, decretato nel 2012. La storica Effe sparisce. Al suo posto nascono due nuove società, Biancoblù e Eagles: con la prima, sostenuta dalla casa madre, si schiera la maggioranza dei tifosi biancoblù, ingolosita dalla possibilità di ripartire dalla A/2 grazie all’acquisizione del titolo prima di Budrio, poi di Ferrara. Con la seconda, che riparte dalle categorie inferiori, si schiera la Fossa, contraria alla compravendita dei diritti. Sono gli anni peggiori per il gruppo, isolato e a rischio chiusura, anche perché l’esperienza Eagles, che serviva a riportare in vita la Fortitudo, fallisce dopo una stagione e mezzo. Due anni di lotte interne tra Fossa e resto della tifoseria, sabotando la campagna abbonamenti della Biancoblù e facendo controinformazione attraverso la radio per delegittimare il progetto di Giulio Romagnoli. Orfani della Fortitudo e addirittura senza squadra, i fossaioli si presentano in 300 alle Final Eight di Milano solo per accendere i riflettori sulla situazione della Effe, incontrando il favore di altre tifoserie. Il 26 febbraio 2013, in segreto, la Fossa affilia una nuova società alla Fip, con il numero di matricola 052934. E sempre in segreto partono le trattative col Comune di Bologna e con la Biancoblù, che si concludono con un successo della linea intransigente della Fossa: sparisce la società nata dal titolo di Ferrara, rinasce la Fortitudo con l’affiliazione registrata dalla Fossa e con l’appoggio della casa madre, fuoriesce Romagnoli (che poi cederà il titolo della Biancoblù a Napoli). Il 18 giugno 2013, così, viene costituita la nuova Effe, che riparte dalla Divisione nazionale B con la bellezza di 3.015 abbonati e oltre 4mila spettatori di media: il popolo fortitudino è di nuovo unito e nel giro di pochi anni ritroverà anche la Serie A.
Vita di gruppo: militanza, comunicazione e solidarietà – Il traguardo dei 50 anni fa della Fossa la tifoseria più longeva del basket italiano. Ma anche tra le curve del calcio sono solo gli Ultras Tito della Sampdoria e i Boys San dell’Inter a vantare un anno di vita in più. Tra le ragioni della compattezza del gruppo, sicuramente figurano il rifiuto di qualunque etichetta politica e l’inclusività: tra i gradoni dietro il canestro oggi si mescolano l’operaio e l’odontotecnico, la signora e lo studente, anche da fuori regione. Un fenomeno di aggregazione di massa che resiste al passare del tempo e delle mode, con un’organizzazione meticolosa. Dalla riunione settimanale alla divisione dei compiti, dalla vendita del materiale per autofinanziarsi al tesseramento anonimo. Con un’attenzione particolare alla comunicazione delle attività all’esterno: oltre alla fanzine cartacea e al sito internet – le pagine ufficiali su Facebook e Instagram contano migliaia di seguaci -, ogni lunedì sera va in onda il programma radiofonico Fossa on the radio, curato direttamente dal gruppo. Ma non solo: sono di qualche anno fa due libri, un documentario e un vero e proprio film – Carica ragazzi – girato dalla regista di Jack Frusciante è uscito dal gruppo Enza Negroni. Una passione a 360°, che ha contagiato, tra gli altri, l’ex calciatore Fabio Bazzani e gli arbitri Pierluigi Collina e Paolo Mazzoleni, fossaioli doc. Il rifiuto della politica non ha impedito però di sviluppare una propensione al sociale, che negli anni si è espressa in molte forme: dal ricordo delle vittime dell’istituto Salvemini alla vicinanza ai genitori di Federico Aldrovandi sin dalle prime richieste di giustizia, dalle collette alimentari alle collaborazioni con ospedali pediatrici, dagli aiuti ai terremotati emiliani all’iniziativa del ‘biglietto sospeso’ per i non abbienti, la Fossa è da sempre in prima linea nelle iniziative solidali. E proprio in beneficenza andrà il ricavato della vendita del materiale nei prossimi mesi, che culmineranno con una festa il 12-13-14 giugno.