Libia e Iran, sta per scoppiare la terza guerra mondiale?

Nel nostro Paese, per una voluta ignoranza sui temi di politica estera, ci si occupa di questioni internazionali solo all’indomani di episodi eclatanti come quella dell’omicidio del generale Qassem Soleimani, comandante dei Guardiani della Rivoluzione. Un uomo estremamente stimato nel suo Paese, considerato da diversi analisti la figura più rilevante dopo la Guida Suprema Ali Khamenei. Una prima considerazione è: cosa sarebbe accaduto se fossero stati gli iraniani ad assassinare un personaggio di rilievo statunitense equivalente ad un ministro della Difesa? Quali sarebbero state le reazioni?

L’assassinio di Soleimani è l’ultimo anello di una catena di violenza che sin dal primo attacco all’Iraq nel 1990 ha destabilizzato un’intera regione in cui oggi regna la totale anomia. Su prove fallaci (si pensi alle armi di distruzione di massa mai trovate) si è seminato distruzione e violenza al fine di controllare le immense riserve di materie prime presenti in Medio Oriente.

La tragedia è che l’opinione pubblica nostrana si sta abituando ad accettare che si possano assassinare uomini da parte di Paesi democratici come fa la mafia con i suoi nemici. Persino i nazisti a Norimberga ebbero un processo, se ci lascia andare alle barbarie, il collasso dello Stato di diritto è destinato a divenire sempre più realtà. Oggi, si fa partire un drone e da chilometri di distanza si preme un tasto eliminando persone non gradite e non importa se ci sono civili o errori come sovente è accaduto in Afghanistan dove sono stati colpiti anche civili intenti a festeggiare un matrimonio o un compleanno di bambini.

Se queste pratiche, che violano ogni regola del diritto internazionale e del senso di civiltà sono da condannare, va ricordato che il generale Soleimani era in Iraq su invito delle autorità irachene per combattere l’Isis. L’Iran sciita (come del resto i curdi dell’Ypg) ha dato un importante contributo per arginare i terroristi presenti nel Paese, senza tale ausilio lo Stato islamico avrebbe annesso enormi pezzi di territorio.

L’uccisione di Soleimani è stato un atto unilaterale da parte degli Stati Uniti, che però mette in pericolo tutti noi. Un’azione eseguita senza informare gli alleati che in quei territori hanno dispiegato truppe a difesa di obiettivi sensibili e che oggi sono potenziali bersagli, non per le proprie azioni, ma per quelle di un alleato che nel 2003 ci ha trascinato in guerra, grazie anche alla complicità e all’irresponsabilità di Berlusconi e dei suoi alleati. Un’irresponsabilità pari a quella dell’ex ministro Salvini che, per accreditarsi a Washington, ha sostenuto tale omicidio che potrebbe essere il preludio di una lunga guerra. Tuttavia, non una guerra d’invasione perché gli Usa non hanno convenienza ad aprire un nuovo fronte dopo le fallimentari sortite in Iraq ed Afghanistan. Quindi non credo, come molti oggi ipotizzano, che questo omicidio possa essere, come è accaduto a Sarajevo per la Prima guerra mondiale, il casus belli di un conflitto su larga scala. Almeno per il momento. Almeno che l’Iran non risponda in maniera scomposta.

Una certezza è che l’Iran è un’area estremamente sensibile per gli Usa e i suoi alleati (Israele e Arabia Saudita). Attraverso lo stretto di Hormuz transita il 20% del petrolio mondiale, poche settimane fa è stata reso noto che in Iran è stato individuato un giacimento di petrolio da ben 53 miliardi di barili. Inoltre, non va dimenticato, che tra Iran e Qatar c’è il South Pars cioè il più grande giacimento di gas naturale del mondo. È dopo la caduta nel 1979 dello Scià filo americano Reza Pahlavi che gli Usa tentano di riprendere il controllo di quest’area. C’erano riusciti nel 1954 con l’operazione Ajax destituendo il primo ministro democratico Mossadeq, poi nel 1979 ci fu la rivoluzione islamica.

Credo che sia il caso di rivedere la nostra posizione sull’Iraq, che sempre più paleserà la guerra segreta che si sta combattendo da tempo tra potenze. In tal contesto, dinanzi a tali violazioni del diritto internazionale, a mio personale parere, sarebbe auspicabile che i militari italiani tornassero in patria per evitare nuovi lutti. L’escalation che inevitabilmente questo omicidio determinerà, potrebbe toccare anche noi e non solo dal punto di vista economico. L’Italia resta un territorio sensibile, infatti, oltre alle numerosi basi Usa, a Camp Darby (Pisa) c’è il deposito statunitense di armi più grande al mondo.

Un altro pericolo si sta concretizzando in Libia, dove l’azione di Erdogan che ha spostato gli uomini delle milizie filo islamiste operanti in Siria. Si tratta di soggetti appartenenti a vario titolo all’universo del terrorismo, che si troveranno a combattere a qualche miglio dalla Sicilia contro anche i mercenari russi. Tutto ciò è inaccettabile, credo che l’Italia debba fare quanto necessario per bloccare qualsiasi minaccia, e considerare, se la situazione dovesse degenerare, un blocco navale e aereo alla Libia, per evitare che cellule terroristiche possano prima o poi arrivare da noi. Le irresponsabili scelte dei precedenti governi (in particolare quella di partecipare al bombardamento della Libia nel 2011) hanno depauperato la nostra storica influenza in Libia, un Paese per noi determinante sia dal punto di vista geopolitico che economico. Il legame con i libici va rinsaldato usando la diplomazia e di certo non le armi che già hanno causato incalcolabili problemi, a partire dalla frammentazione del Paese.

La situazione è grave, confido nella moderazione e nella capacità di mediazione del nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio che, correttamente, ha subito chiesto all’Ue di assumere una posizione comune che possa stabilizzare la situazione in Libia ma anche in Iran. Due pericolose scintille che potrebbero appiccare conflitti difficilmente arginabili.

L’Italia è un Paese in cui si deve superare l’atteggiamento da ultras, la guerra fredda è terminata e oggi il multilateralismo deve essere la nostra stella polare. L’obiettivo è coltivare i nostri interessi nazionali, rispettare la Carta Costituzionale ed essere un Paese che cominci a scrivere il copione della politica estera senza recitare supinamente quello scritto da altri che fanno solo i propri interessi.

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