Circa 30 soldati tedeschi, attualmente di stanza a Baghdad e Taji, saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait. Diversi Paesi parte della coalizione hanno deciso di dislocare le proprie truppe nei Paesi dell'area
Le forze della coalizione occidentale in Iraq si riposizionano. A quattro giorni dall’uccisione del generale delle Forze Quds iraniane, Qassem Soleimani, con un raid americano, la Nato ha predisposto un ritiro “temporaneo” del proprio personale dall’Iraq per motivi di sicurezza. Mentre la Francia ha annunciato che non autorizzerà alcun trasferimento di militari, la Germania ritirerà alcune delle sue truppe schierate nel Paese. L’Italia ha deciso di mantenere i propri uomini, spostando quelli di stanza a Baghdad, mentre Canada e Croazia li trasferiranno dall’Iraq al Kuwait. Intanto, in un briefing con la stampa, il segretario della Difesa americano, Mark Esper, ha dichiarato che l’azione Usa è stata autorizzata perché il generale Soleimani “stava preparando un attacco da eseguire nel giro di giorni più che di settimane”. E Donald Trump, dalla Casa Bianca, fa marcia indietro sulle sue ultime esternazioni, specificando che qualsiasi attacco Usa avverrà nel “rispetto della legge” e che le sanzioni all’Iraq saranno varate solo se quest’ultimo mancherà di rispetto a Washington.
Germania, via i militari dall’Iraq. L’Italia sposta i suoi soldati dalla capitale
Ad annunciare la decisione di Berlino è stato il ministero della Difesa. Circa 30 soldati tedeschi, attualmente impiegati a Baghdad e Taji, saranno trasferiti in Giordania e in Kuwait, ha detto un portavoce del dicastero intervistato dall’Afp, aggiungendo che il ritiro “inizierà presto”. Per quanto riguarda i soldati di Roma, invece, il quartier generale della Coalizione internazionale che opera nel Paese “al momento sta pianificando una parziale ridislocazione degli assetti al di fuori di Baghdad”, fanno sapere dallo Stato Maggiore della Difesa, anche se questa, specificano, è una decisione presa a livello di coalizione e “non rappresenta un’interruzione della missione e degli impegni presi” dall’Italia. La scelta è motivata dalla necessità di “salvaguardare il personale impiegato” e dipende “solo dalle misure di sicurezza adottate, non rappresenta un’interruzione della missione e degli impegni presi con la coalizione”.
Parigi, invece, ha dichiarato che non ci sarà alcun ritiro di truppe dal Paese, mentre fonti ufficiali della Nato fanno sapere che il proprio personale sarà trasferito “temporaneamente” fuori dall’Iraq o in altre aree interne più sicure: “In tutto quello che facciamo, la sicurezza del nostro personale è fondamentale – spiegano – Si è deciso di sospendere temporaneamente il nostro addestramento sul campo e stiamo prendendo tutte le precauzioni necessarie per proteggere la nostra gente. Ciò include il riposizionamento temporaneo di alcuni membri del personale in luoghi diversi sia all’interno che all’esterno dell’Iraq”. La stessa fonte ha poi aggiunto che “la Nato mantiene una presenza in Iraq e siamo pronti a continuare il nostro addestramento e il potenziamento delle capacità quando la situazione lo consente”. Anche Canada e Croazia ha deciso di spostare i propri uomini dall’Iraq al Kuwait.
Usa, Trump: “Nostri attacchi rispetteranno la legge”. Il mistero della lettera all’Iraq
Il Pentagono intanto smentisce le parole del Presidente Donald Trump su un possibile bombardamento dei siti culturali. “Rispetteremo le leggi di un conflitto armato“, ha detto il capo del Pentagono Mark Esper. L’inquilino della Casa Bianca aveva minacciato di colpirli – anche se si tratterebbe di un crimine di guerra – tramite un tweet del 4 gennaio, ma anche lui, in una dichiarazione alla Casa Bianca, ha fatto marcia indietro: vogliamo “rispettare la legge”, ha detto.
….targeted 52 Iranian sites (representing the 52 American hostages taken by Iran many years ago), some at a very high level & important to Iran & the Iranian culture, and those targets, and Iran itself, WILL BE HIT VERY FAST AND VERY HARD. The USA wants no more threats!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 4, 2020
Poi il tycoon è tornato anche sul tema delle sanzioni all’Iraq, specificando che saranno possibili solo se Baghdad mancherà di rispetto all’amministrazione Usa che, ha aggiunto, non ha alcuna intenzione di ritirarsi dal Paese: sarebbe ora “la cosa peggiore” per l’Iraq e lascerebbe all’Iran una influenza molto più grande, ha detto.
Le sue parole arrivano dopo che era circolata una lettera in cui, si leggeva, si predisponeva il ritiro delle truppe Usa dal Paese. Notizia smentita da Esper che ha specificato come l’ipotesi fosse nata da una lettera scritta da un generale americano, il capo della task force Usa in Iraq William Seely. Il testo, diffuso su Twitter e poi ripreso dai media, faceva riferimento a un “riposizionamento delle forze (Usa, ndr) nei prossimi giorni e nelle prossime settimane”. Il capo del Pentagono ha negato che ci sia un piano del genere: “Non è stata presa alcuna decisione di andarsene dall’Iraq. Non abbiamo elaborato alcun piano”.
Versione in contrasto con quella circolata qualche ora dopo e diffusa dal premier iracheno, Adel Abdel Mahdi, che ha invece confermato di aver ricevuto una lettera degli Stati Uniti con tanto di firme e traduzioni allegate. Nella missiva, ha detto, si parlava di “ridispiegamento con l’obiettivo del ritiro dal Paese. La formulazione era molto chiara”.
Da Washington, inoltre, è scattata l’allerta massima per le forze Usa e le batterie missilistiche impiegate in Medio Oriente. Il timore del Pentagono è che possano esserci nelle prossime ore attacchi con i droni contro obiettivi americani, secondo quanto riporta la Cnn citando due dirigenti Usa. L’intelligence americana, secondo le stesse fonti, ha osservato negli ultimi giorni movimenti di equipaggiamenti militari in Iran, compresi droni e missili balistici. Le fonti non hanno però saputo chiarire se le manovre siano un tentativo di mettere al sicuro le armi contro un potenziale attacco Usa o il tentativo di posizionarsi per lanciare attacchi.
Nella giornata di martedì, Esper ha avuto un colloquio telefonico con il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ha ribadito l’appello italiano alla moderazione. Le priorità per Roma, ha sottolineato il ministro, sono la stabilità della regione e dell’Iraq, oltre alla necessità di mettere in atto ogni sforzo per preservare i risultati della lotta a Daesh conseguiti in questi anni. Come fa sapere la Difesa, “con la presenza di circa 1000 uomini in Iraq, oltre 1000 in Libano nella missione Unifil, e poco meno di 1000 in Afghanistan, l’Italia è fra i Paesi più impegnati per la stabilità della regione. A tal proposito Guerini ha evocato l’importanza, condivisa da Esper, di far fronte in maniera coordinata agli sviluppi futuri, con l’obiettivo di poter continuare l’impegno della coalizione anti-Daesh, all’interno di una cornice di sicurezza per i nostri militari”.
Iran: “Individuati 13 obiettivi Usa da colpire”
A Teheran, invece, il segretario del Consiglio, contrammiraglio Ali Shamkhani ha annunciato che “13 scenari sono stati valutati nel Supremo consiglio di sicurezza nazionale per la vendetta dell’Iran dopo l’assassinio del generale Soleimani, e anche il più debole di questi sarà un incubo storico per gli Usa. Prometto alla nazione eroica che la rappresaglia non avrà luogo in una sola operazione, perché sulla base delle dichiarazioni della nostra Guida tutte le forze di resistenza sono pronte a vendicare l’azione degli Stati Uniti”, ha sottolineato Shamkhani. Oggi a Kerman, nel sudest dell’Iran, è prevista la sepoltura di Soleimani. Il comandante in capo dei Guardiani della Rivoluzione iraniana (i Pasdaran), il generale Hossein Salami ha lanciato un appello, parlando davanti a una folla di centinaia di migliaia di persone nella piazza della città: “Bisogna dare alle fiamme i luoghi sostenuti dagli Stati Uniti. Se gli Stati Uniti faranno una benché minima mossa contro l’Iran, daremo fuoco a qualunque luogo, dove ci piace”.
L’Iraq nel frattempo si è appellata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere una condanna formale del raid aereo americano di venerdì a Baghdad che ha portato all’uccisione del generale Soleimani, e del numero due delle milizie sciite delle Unità di protezione popolare Abu Mahdi al-Muhandis. Si tratta di una “evidente violazione” rispetto alla presenza delle forze americane nel Paese e di una “pericolosa escalation che potrebbe portare a una guerra devastante in Iraq, nella regione e nel mondo”, ha detto l’ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite, Mohammed Hussein Bahr Aluloom. Per il 9 gennaio è prevista riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma al Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif è stato impedito di partecipare, riferisce l’emittente al-Arabiya: Washington avrebbe negato il visto per entrare nel Paese. “La stabilità della regione potrà essere raggiunta solamente attraverso il dialogo e la comprensione reciproca”, ha commentato il capo della diplomazia iraniana. Il parlamento iraniano, in risposta al raid, ha votato una mozione che inserisce l’esercito Usa e il Pentagono nella lista delle organizzazioni terroristiche.