“Non sono stati sviluppati strumenti e metodologie per indirizzare l’erogazione del credito secondo criteri di redditività corretta del rischio”. Non solo: “Acritico recepimento dei piani finanziari prospettati dalle controparti a supporto delle richieste di affidamento senza verificarne la tenuta ipotizzando scenari meno favorevoli”. E ancora: anche tendenza alla sottostimare “la rischiosità della clientela”.
Sono alcuni dei rilievi mossi dalla Vigilanza nel 2016 – di cui dà conto Il Sole 24Ore – nei confronti di decine di prestiti elargiti dalla Banca Popolare di Bari a una ventina di società. In linea generale, gli ispettori di Bankitalia avevano censurato la pratica e per alcuni debitori hanno avanzato contestazioni specifiche nei confronti del management dell’istituto di credito salvato dal Fondo interbancario e dal Mediocredito centrale, rifinanziato con 700 milioni dal governo.
Perché, già tre anni fa, l’analisi a campione di alcuni posizioni aveva fatto emergere “sofferenze per 1,9 miliardi, inadempienze probabili per 1,3 miliardi e previsioni di perdita per 1,6 miliardi”. Tra le società più note che sono finite sotto la lente della Vigilanza – e ora alcune anche della magistratura barese che ha aperto diverse inchiesta coordinate dall’aggiunto Roberto Rossi – ci sono Parnasi e Maiora Group, Rummo e la società Roma Global Services della famiglia Angelucci, che fa sapere di aver “integralmente rimborsato ogni anticipazione ricevuta, ivi compresi gli interessi dovuti”. Una smentita dello stesso tenore è giunta anche dal noto pastificio.
Particolari i casi delle società Design 2000 e Isoldi spa, la prima con metà dei suoi 1,2 milioni di prestiti in sofferenza e la seconda con un rapporto simili e cifre molto più alte. Su 30 milioni concessi alla Isoldi, coinvolta già nel dissesto di Etruria, erano ben 17 quelli in sofferenza. Nell’elenco compaiono anche i casi, già noti, del gruppo Fusillo e del gruppo Nitti che ha chiesto 13 milioni, di cui oltre 5 sarebbero ritenuti irrecuperabili.