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Popolare di Bari, Arcuri (Invitalia): “Decreto non è salvataggio, serve ad alleviare la maggior difficoltà di accesso al credito nel Sud”

I commissari straordinari: "Ora analisi per quantificare l'aumento di capitale necessario". Poi entro il 30 giugno l’assemblea e entro il 30 settembre "o comunque entro fine anno" le autorizzazioni per trasformare la banca in spa. Il numero uno della società pubblica a cui fa capo il Mediocredito centrale, chiamato a partecipare alla ricapitalizzazione, ha detto che oggi le aziende del Sud pagano interessi più alti del 50%

Il decreto con cui il governo ha stanziato 900 milioni per soccorrere la Popolare di Bari, “nella nostra interpretazione non ha a che fare con un intervento di salvataggio. Servirà ad alleviare una delle barriere allo sviluppo e alla coesione del Paese”. Cioè un costo di accesso al credito nel Mezzogiorno ben più alto che nel resto del paese: “Se il tasso di interesse medio pagato da una grande impresa al Nord è del 3,3%, al Sud è del 4,9%: il 50% di più”. Parola di Domenico Arcuri, ad di Invitalia, audito dalla commissione Finanze della Camera che sta esaminando il decreto in vista della conversione. I parlamentari hanno ascoltato anche i commissari straordinari che dalla fine dello scorso anno gestiscono l’istituto, che hanno annunciato l’avvio di una due diligence per verificare a quanto ammonta la ricapitalizzazione necessaria per l’istituto, che sarà realizzata da Mediocredito centrale (controllato da Invitalia, che a sua volta è al 100% del Tesoro) e Fondo interbancario di tutela dei depositi.

Il 30 dicembre, quando ha deliberato l’erogazione immediata dei primi 310 milioni, il Fondo interbancario aveva quantificato il rafforzamento patrimoniale in 1,4 miliardi. In audizione i commissari hanno però spiegato che questa è un’ipotesi iniziale “ma non è possibile ancora una precisa quantificazione”. Serve prima un’analisi “sugli attivi, in particolare sui crediti, e anche sui rischi per controversie e rischi legali” prima di dare il via libera a un piano per riportare la banca in equilibrio economico e di redditività.

Dopo la due diligence, ha spiegato Arcuri, “entro metà aprile i commissari dovranno elaborare un piano industriale, e dovrà essere sottoscritto l’accordo di co-investimento fra Mcc (controllata di Invitalia, ndr) e il Fondo di garanzia. Entro il 30 giugno è previsto che si sia svolta l’assemblea, sia stata trasformata la banca, definito l’aumento capitale e adottato un nuovo statuto, e si immagina che entro il 30 settembre o intorno a tale data, o comunque entro fine anno, si possano ottenere tutte le autorizzazioni, nazionali o comunitarie, per trasformare concretamente la banca in spa, che si possa sottoscrivere l’accordo sindacale e avviare una nuova stagione”. Poi il decreto legge per la realizzazione di una banca di investimento “lascia la possibilità a fine percorso di una scissione delle attività che il Mediocredito ha acquisito e che esse possano essere trasferite al Mef”.

La situazione di partenza, hanno spiegato i commissari Antonio Blandini ed Enrico Ajello, presenta delle difficoltà oggettive”. Dopo una perdita di 420 milioni nel 2018, l’istituto ha registrato un rosso di altri 73 milioni al 30 giugno 2019. Ajello ha aggiunto che, nonostante la vendita di crediti deteriorati, non è migliorato il rapporto tra crediti deteriorati (non performing exposure) e il totale dei crediti erogati. Questo “anche per un effetto legato al patrimonio, la cui riduzione ha limitato la capacità di erogare nuovo credito. Questo ha creato una situazione di difficoltà”.

La banca popolare di Bari, ha aggiunto il commissario, ha un peso “poco importante sul sistema” bancario italiano, con appena lo 0,73% dei depositi del sistema italiano. Ma “rispetto alle singole Regioni, il peso cambia in modo significativo: in Abruzzo la quota di mercato è del 13% circa in termini di depositi e del 18% in termini di filiali”, in Puglia del 9% e 7% rispettivamente, in Basilicata del 15% in termini di filiali, e “anche in Umbria ha un suo peso, così come in Molise“. Il tutto in un contesto che, come ricordato da Arcuri, vede il Sud molto svantaggiato in termini di accesso al credito: “I depositi al Sud sono il 28,2% del totale italiano ma nel 2019 i prestiti erogati dalle banche al Sud sono stati solo il 14,3% del totale. La raccolta indiretta si è fermata al 4,5% del totale”. Del resto “il rapporto costi/ricavi delle banche è in media del 64,8% in Italia, ma nel Sud arriva al 75,7%”. Di conseguenza, ha detto Arcuri, il decreto “nella nostra interpretazione non ha a che fare con un intervento di salvataggio, ma servirà ad alleviare una delle barriere allo sviluppo e alla coesione del Paese”.