“È un segnale grave e importante. Il prefetto di Venezia ha preso atto di una situazione esistente ad Eraclea, adesso la valutazione finale sarà del ministro dell’Interno. È a lei che spetta la decisione di sciogliere per infiltrazioni mafiose il Comune”. Bruno Cherchi, procuratore della Repubblica nel capoluogo lagunare, conferma che il prefetto Vincenzo Zappalorto poco prima di Natale ha inviato al Viminale una formale richiesta di azzerare tutto nella cittadina balneare, dopo gli arresti per camorra di un anno fa. Il magistrato ha partecipato in aula bunker a Mestre alla prima udienza preliminare del processo contro 76 persone, di cui 37 accusate di associazione mafiosa. “Sono accuse gravi e lo scioglimento del consiglio comunale significherebbe che l’assemblea, espressione di rappresentanza democratica, subiva condizionamenti”. Nessun commento del procuratore, invece, alla domanda se le inchieste, dopo Eraclea, punteranno anche sulle vicine Caorle e Jesolo, due centri adriatici che vivono di turismo.

Quanto la politica nel Veneto Orientale ha subito le pressioni dei “Casalesi di Eraclea”, come è stato battezzato il gruppo di persone che ruotava attorno all’imprenditore Luciano Donadio, nato a Giugliano, in Campania, a due passi da Casal di Principe? Una prima risposta è contenuta nel capo di imputazione che riguarda l’ex sindaco di Eraclea, l’avvocato Mirco Mestre, arrestato all’inizio dello scorso anno per voto di scambio. Secondo l’accusa, Donadio gli avrebbe procurato i voti necessari per essere eletto. Infatti, aveva superato di appena 81 voti il proprio rivale del centrosinistra. All’udienza, l’avvocato Mestre non si è presentato, visto che il suo difensore, il professor Emanuele Fragasso, ha depositato l’istanza di giudizio immediato. Ha quindi evitato l’udienza preliminare per essere processato dal Tribunale di Venezia. La posizione di Mestre è compromessa da alcune intercettazioni di Donadio. Il quale, tra l’altro, dice: “Quello è il mio avvocato, o’compagno mio, il mio partito è quello… Infatti ha vinto quello che dicevo io. Vinse per 80 voti di differenza. I miei voti. Gliene portai pure più di 80. Hai capito? Tra parenti e amici. Gente che fanno quello che dico io”. Hanno chiesto di costituirsi parte civile la presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno, l’associazione Libera, la Cgil regionale e la Cgil provinciale. Spiccano alcune assenze, la Regione Veneto, il Comune di Eraclea e le associazioni di categoria del mondo turistico.

Tra gli indagati c’è anche Graziano Teso, che fu a sua volta sindaco di Eraclea e che era il vice di Mestre fino a quando al sindaco arrestato è subentrato un commissario prefettizio. Teso è accusato di “avere consapevolmente e concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa”. Ed ecco un primo episodio, che però risulta coperto dalla prescrizione: “Essendo sindaco uscente del comune di Eraclea, eletto nel 2004, nonché candidato Sindaco alle elezioni amministrative del 29 maggio 2006, richiedeva ed otteneva dagli associati, ed in particolare da Luciano Donadio e Graziano Poles, che finanziassero parte del costo della sua campagna elettorale e che si impegnassero a raccogliere voti a suo favore…”. Teso nel 2006 venne eletto per soli 266 voti. Poco dopo venne bruciata (“dal sodalizio mafioso”, secondo la Procura di Venezia) l’auto del consigliere di opposizione Adriano Burato, imprenditore, segretario di Alleanza Nazionale, che aveva denunciato i legami opachi di Teso con Donadio e Poles. Secondo l’accusa, “Teso metteva a disposizione del sodalizio il proprio ruolo di sindaco e poneva in essere molteplici iniziative indebite per favorire la vendita dell’hotel Victory, del valore di circa 6 milioni e mezzo di euro, di proprietà di Poles e Donadio, nonché per l’adozione di atti e approvazione di pratiche edilizie alle quali avevano interesse, indirettamente, come imprese costruttrici”.

Dura presa di posizione del gruppo M5S in Regione Veneto. “Il processo è anche a chi in questi anni ha tenuto la guardia bassa, lasciando spalancata la porta all’affarismo senza scrupoli. La mafia non va solo dove ci sono i capitali, ma dove sa di poter trovare appoggi, connivenze, o almeno occhi chiusi”. Jacopo Berti, Manuel Brusco, Simone Scarabel e Erika Baldin, aggiungono: “In questi anni, istituzioni, associazioni di categoria, realtà economiche hanno giocato alle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo. Noi del Movimento 5 Stelle è da quasi un anno che abbiamo richiesto l’istituzione di una Commissione regionale d’Inchiesta sulla criminalità organizzata, ma fino ad ora non abbiamo ottenuto risposta. Troppo scomoda? Qualcuno teme che anche la politica subisca il suo processo?”.

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