Durante le feste, periodo ideale per le “rimpatriate” cinematografiche, è stato riproposto un classico d’autore: Blade Runner. Il celebre cult di Ridley Scott, con Harrison Ford, è ambientato nell’anno… scorso. Infatti, proprio in un piovigginoso e iper-avveniristico 2019 si snoda la trama della caccia all’androide interpretato da Rutger Hauer, programmato per vivere come uno schiavo e per soli quattro anni.
L’occasione è propizia per paragonare quel futuro immaginario (già passato) al nostro futuro reale (ormai alle porte). Ebbene, per certi versi, Blade Runner risulta ingannevole e fuorviante. Troppo distante dal nostro “arcaico” quotidiano, la spettrale Los Angeles, coi suoi veicoli volanti, le sue colonie extraterrestri, il clima definitivamente collassato. Eppure, quel livido, claustrofobico destino potrebbe non essere così improbabile, se la piega degli eventi non dovesse raddrizzarsi in fretta. Forse, al di là di lustrini e paillettes e oltre le suggestioni coreografiche, ciò che ci attende – se non nell’imminente domani, in un dopodomani assai vicino – è persino più “fantascientifico”, e di certo peggiore, rispetto alla storia del cacciatore di taglie Rick Deckard e del suo antagonista, il replicante Roy Batty.
Ci può aiutare, in questo esercizio di catastrofico ma salutare realismo, un recente libro di Marco Pizzuti dal titolo Criptocrazia non autorizzata (edizioni Il punto d’incontro). Nel suo saggio, l’autore ripercorre tutti i più recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale (passando a volo d’uccello anche sulle implicazioni della tecnologia blockchain, delle criptovalute e del “magico” monopolio privato della creazione del denaro). Già ora, ci ricorda l’autore, si parla di un possibile impiego politico dell’Ai, con tanto di candidature per cariche elettive (a prova di corruzione).
Ora, tutto questo va rapportato alla velocità con cui il processo si svolge: e cioè, grossomodo, quella esponenziale della seconda legge di Moore. A questo punto, si pongono tutta una serie di questioni che, nel breve volgere di qualche lustro, potrebbero relegare al rango di quisquilie le tematiche politiche su cui oggi ci azzuffiamo. Per esempio: il fatto che la quarta rivoluzione industriale (intelligenza artificiale, robotica, internet delle cose, stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici et similia) è “condannata” a generare un vero e proprio terremoto sul piano occupazionale. Milioni di lavoratori si avviano a diventare superflui e, quindi, ad essere letteralmente rottamati da un sistema artificiale in grado di sobbarcarsi non più solo le mere fatiche manuali, ma anche quelle più sofisticate e intellettuali.
Lo tsunami conseguente – come paventa lo stesso Pizzuti – potrebbe addirittura portare all’implosione del sistema capitalistico “tradizionale”: se spariscono i salariati, anzi i lavoratori retribuiti in genere, chi comprerà le merci prodotte dalle macchine? Con quali soldi?
Di più: saranno ancora necessari i soldi in una società in cui ogni tipo di funzione può essere esercitata mille volte meglio da una macchina che da un uomo? E il lavoro che fine farà? Forse, da un lato e per molti, terminerà l’alienazione marxianamente intesa. Ma quale sarà il destino degli individui privati della necessità stessa di esercitare un impiego qualsivoglia in grado di dare un senso “nobilitante” all’esistenza?
A un tratto, persino il concetto di “occupazione” come motore dell’economia potrebbe farsi obsoleto. Bisognerà “occupare” la gente non già con una logica e secondo finalità produttive, ma solo in una prospettiva di controllo delle masse: onde evitare lo sbocco anarcoide di una popolazione altrimenti abbandonata ad un ozio improduttivo. E magari mantenuta in vita con un “reddito minimo di cittadinanza universale”.
In tutto ciò, l’aspetto più inquietante è bio-politico, come avrebbe detto Michel Foucault. A chi spetterà la governance di questa inerziale deriva? Continuando di questo passo, a coloro che già la detengono e che si stanno (proprio ora) esercitando nell’uso: un manipolo di “signori” a capo di corporation private destinate a divorarsi reciprocamente finché non ne resterà che un paio, o addirittura una sola.
A “lavori ultimati” potremmo trovarci di fronte al capovolgimento integrale della nozione classica di democrazia: non più il governo del popolo (e quindi di uno Stato) sugli egoismi privati, ma il trionfo assoluto di pochi privatissimi eletti su un popolo pascolato al guinzaglio. Le tinte fosche di Blade Runner risultano quasi rosa pastello se rapportate a questo scenario. Soprattutto perché la parte dello schiavo, con data di scadenza incorporata, potrebbe toccare – anziché agli androidi sfruttati del film – agli esseri umani non appartenenti all’elite. Cioè quasi tutti.