Società

Il sovranismo alimentare sulla farinata non ha proprio senso

Nella classificazione di tipi umani tracciata da Itsuo Tsuda (1) – più complessa di quella tracciata da Gustav Jung – il Tipo Tre, chiamato anche “Laterale” o “Digestivo”, si presenta come un grande affabulatore, un sentimentale e un buongustaio. Questa definizione ben si attaglia all’ex-vicedirettore del SecoloXIX, Mario Muda, che ha dedicato un libro al piatto più tipico di Savona, la farinata.

Intitolato La Savona della farinata. Luoghi, persone, storie (editore De Ferrari) il saggio, scritto con altri autori, è un piccolo capolavoro di antropologia perché, attraverso gli usi, i riti e le occasioni di consumo della farinata, racconta una comunità e una rete di rapporti che oggi sta vacillando sotto i colpi della crisi economica, della globalizzazione all you can eat e di una tv demenziale, colonizzata da cuochi e politici in fase orale, che parlano al “ventre del paese”, ingoiando Nutella e ruttando propaganda.

Nel descrivere il lavoro delle “sciamade”, i forni dove si cucina la farinata o la lavorazione dei ‘testi’, i vassoi di rame stagnato dove viene versata la pastella di ceci, Muda mescola costrutti italiani e termini dialettali con un’opulenza lessicale che ricorda Gargantua, ma anche Beppe Fava, il poeta savonese, perseguitato dal fascismo, che dedicò ai quartieri della farinata poesie e racconti memorabili.

I miti che accompagnano la “scoperta” della farinata hanno due tratti in comune: sono quasi tutti infondati e tutti la spiegano come “effetto collaterale” di eventi bellici navali o terrestri. “La leggenda – scrive lo storico Giuseppe Milazzo – pretende di vedere in Ulisse l’inventore della farinata: esaurite le scorte durante l’assedio di Troia, il re di Itaca avrebbe deciso di cuocere quello che era rimasto dentro i grandi scudi utilizzati dai suoi guerrieri. E trattandosi proprio dell’olio e della farina di ceci, ne sarebbe così nata la farinata”.

Un’altra leggenda racconta che nel 1005 i pisani, assediati dal capo saraceno Mujahid al-Amiri, scagliano sugli infedeli tutto ciò che capita loro a tiro, compresi alcuni sacchi di farina di ceci e olio bollente, che mescolandosi e asciugandosi al sole, il giorno dopo, danno vita a una pastella informe: la cecìna, ossia quella che è comunemente nota come farinata toscana.

“Una delle prime testimonianze scritte riguardo all’esistenza a Genova della farinata – scrive Milazzo – risale al 1447, epoca in cui un decreto vietò tassativamente l’utilizzo di olio scadente per la preparazione della scripilita, nome antico con cui si indicava la farinata”.

Anche la farinata “bianca“, di grano, che si fa solo a Savona ed è chiamata turtellassu de Sann-a sarebbe frutto di un contesto bellico. Quando i genovesi, nel 1528, devastarono la città castrando, cioè dimezzando, le torri e interrando il porto, imposero ai savonesi anche un pesante dazio sui ceci costringendoli a cucinare la farinata col grano. “Una spiegazione palesemente assurda – argomenta Giovanni Assereto, ex-ordinario di storia moderna presso l’Università di Genova – perché in antico regime erano il grano e la farina di grano a essere più cari e maggiormente tassati, tanto che il “pane bianco” era considerato cibo da ricchi”.

Alessandro Bartoli, saggista ed esperto di relazioni culturali con il Regno Unito, racconta che “nel suo libro Flavours of the Riviera (Sapori della Riviera), Colman Andrews, il pantagruelico critico gastronomico del Los Angeles Times, dedicò un intero capitolo alla farinata e alla cugina minore, la panissa rimanendo esterrefatto per la bontà di questi due semplici, ma al contempo complessi, piatti popolari”.

La “mappa della farinata”, tracciata dallo storico dell’alimentazione Umberto Curti, ha dimensioni che si estendono dal Mediteraneo all’America Latina. A Pisa è chiamata cecìna, a Nizza socca, a Gibilterra e nel nord del Marocco calentita. Per questo non ha molto senso montare sulla farinata operazioni di sovranismo alimentare, come spiega bene Elio Ferraris, ex-editore e fondatore, a Savona, del “Circolo degli Inquieti”.

Citando le ricerche sui cibi di Gianni Rebora, Ferraris ricorda che lo storico un giorno ammonì chi rivendicava la paternità savonese della farinata: “Non dite belinate da provinciali – disse – la farinata era una torta di ceci diffusa dal Mar Nero alla Provenza e si mangiava in Grecia come in Toscana e in Liguria o in Piemonte. Non ha senso discutere se Colombo fosse savonese o di un qualsiasi paesino ligure, immaginiamoci se ha senso discutere su chi ha inventato la farinata!”

1. Cfr Il non fare e altri dieci testi editi da Luni Editore