Nonostante i promotori avessero già convocato i giornalisti, all'ultimo momento, alcuni dei sottoscrittori hanno deciso di tirarsi indietro. Tra loro l'azzurro Massimo Mallegni, insieme ad altri esponenti vicini a Mara Carfagna. Perplessità anche tra parlamentari Pd
Tutto da rifare (o quasi) per la raccolta firme per il referendum contro il taglio dei parlamentari. Quando i promotori si preparavano a incontrare i giornalisti davanti alla Cassazione, quattro senatori di Forza Italia hanno deciso di ritirare la firma e la consegna è slittata. E’ stato il rompete le righe: da settimane vanno avanti le manovre di chi vuole evitare la consultazione per non dover andare a elezioni anticipate e l’iniziativa di un gruppo di azzurri vicino a Mara Carfagna ha fatto saltare il tappo. I quattro sono: Massimo Mallegni, Franco Dal Mas, Barbara Masini e Laura Stabile. Ma non sono soli: anche i senatori Pd stanno valutando di tirarsi indietro, soprattutto alla luce dell’accordo raggiunto sulla legge elettorale con i 5 stelle. Il promotore di Fi Andrea Cangini ha garantito che troveranno una soluzione: “Altri si stanno aggiungendo”, ha detto. “Prenderemo un nuovo appuntamento entro il 12 gennaio, termine ultimo”. Insomma, stando al senatore di Forza Italia la crisi è destinata a rientrare. Eppure, il gruppo che solo il 19 dicembre scorso era stato annunciato ai giornalisti, sembra perdere pezzi man mano che passano le ore. Rimane, per il momento, l’appuntamento delle 10.30 del 10 gennaio quando saranno invece depositate le firme raccolte dai Radicali.
I primi a tirarsi indietro sono stati i senatori di Forza Italia, esponenti di un partito all’interno del quale il clima è sempre più teso. Si tratta di parlamentari vicini alla corrente di Mara Carfagna e quindi sempre più attirati dall’ala governista. A venire allo scoperto è stato Massimo Mallegni. “Bisogna andare al voto subito, ma con 300 poltrone in meno. Oggi abbiamo preso una decisione importante, impedire a qualcuno di farsi prendere dalla tentazione di andare a votare senza ridurre prima il numero dei parlamentari”. La rinuncia è avvenuta all’ultimo momento. Stavano chiudendo il verbale, quando Mallegni ha bloccato l’operazione, aprendo una discussione. Il verbale è stato quindi interrotto, così come la consegna. “Non mi va che quel referendum venga strumentalizzato e associato al voto anticipato”, ha spiegato invece Masini, “come un escamotage per salvare le poltrone. Né voglio essere associata a chi pensa questo. Io andrei a votare domattina anche se perdessi il mio seggio”. Stessa linea scelta da Stabile: “Avevo firmato ritenendo fosse giusto sottoporre la riforma all’esito popolare, ma c’è il sospetto che si usi la dilatazione dei tempi in caso di referendum come un trucchetto, visto che se si andasse a elezioni anticipate, si voterebbe per eleggere il vecchio numero di parlamentari. Questa è una manovra di palazzo a cui non mi presto“.
Le perplessità però non sono solo in casa Fi (si parla di fino a otto firme congelate), ma coinvolgono anche i sottoscrittori del Pd. Chiedere un referendum confermativo ora e farlo su una riforma che ha visto il voto quasi unanime del Parlamento può essere poco strategico anche per chi punta soltanto a salvare il posto a Palazzo Madama e Montecitorio. Se infatti la consultazione avrebbe come effetto immediato quello di aprire una finestra elettorale per il ritorno al voto senza il taglio dei parlamentari, dall’altra i partiti dovrebbero giustificare la decisione di fronte agli elettori. Senza contare che, l’accordo sulla riforma del sistema di voto in maggioranza, sta spingendo molti dem a rivedere la loro posizione: tornare al voto con questa legge elettorale rischia di essere l’ipotesi meno conveniente per tanti.
Protesta la Fondazione Luigi Einaudi, che fin dall’inizio si era fatta promotrice dell’iniziativa. “La mossa del ritiro di alcune firme era ampiamente annunciata e giunge tutt’altro che inattesa, nei tempi e nei modi. Ovviamente la Fondazione Luigi Einaudi non si occupa delle manovre di palazzo. Esse qualificano chi le fa, che se ne assume per intero la responsabilità politica, giuridica e morale. A questo punto tutto è aperto. Attendiamo di sapere in queste ore se altri parlamentari vorranno aggiungere la loro firma a quelle in essere al fine di consentire agli italiani di esprimersi su un così fondamentale stravolgimento della nostra Costituzione”.
Sul fronte opposto si muovono i Radicali che, hanno annunciato, saranno in Cassazione per la consegna delle loro firme venerdì 10 gennaio. “In queste ore”, dichiarano il segretario e il tesoriere del Partito Radicale, “il Pd cerca di convincere i propri firmatari che non c’è bisogno del referendum visto che sta ottenendo in cambio una legge proporzionale con un alto sbarramento”. E hanno chiuso: “Di fronte a quello che sta accadendo in queste ore in cui si salda l’asse antipopolare e antireferendario Carfagna-Di Maio-Zingaretti- chiediamo a Matteo Salvini e ai senatori della Lega di consentire la tenuta del referendum”.
Le firme devono essere raccolte e verbalizzate entro domenica 12 e possono essere consegnate in Cassazione anche il 13. L’ipotesi del ritiro delle firme da parte di alcuni era già circolata prima di Natale e in questi giorni si era fatta più insistente. La lista dei parlamentari che chiedono di rivedere il taglio delle poltrone era stata diffusa il 19 dicembre scorso alla stampa. Il fronte è bipartisan. Si trattava di sette senatori Pd, tre M5s, due di Italia Viva e due della Lega. Nove gli esponenti del gruppo Misto: sei sono ex 5 stelle, due fanno parte del Movimento italiani all’Estero (tra cui il sottosegretario della Farnesina Ricardo Antonio Merlo). Infine hanno firmato anche Emma Bonino e il senatore a vita Carlo Rubbia.