In un post apparso qualche giorno fa sul Corriere della Sera il prof. Walter Lapini, ordinario di Letteratura Greca presso l’Università di Genova, ha espresso varie perplessità sui finanziamenti Erc (European Research Council, un organo dell’Ue) alla ricerca. Le condivisibili considerazioni di Lapini hanno sollevato aspre critiche; ad esempio i prof. Billari e Verona, dell’Università Bocconi, hanno elogiato l’Erc per “il coraggio di premiare l’eccellenza”.
Poiché l’argomento è importante e ha implicazioni estese, è bene che se ne parli e voglio aggiungere all’ineccepibile post di Lapini una considerazione di carattere generale sul finanziamento pubblico della ricerca. L’idea che pervade i finanziamenti erogati dall’Erc (e da altri enti pubblici) è effettivamente quella di “premiare l’eccellenza” e fu presentata in modo esplicito in varie riunioni, a una delle quali partecipai anch’io in rappresentanza della Società Italiana di Biochimica. Già in queste riunioni furono espresse ampie riserve sull’elitismo implicito nella proposta dell’Erc.
L’eccellenza scientifica è un concetto semplicistico e irrealistico, adatto per un pubblico poco preparato e per una politica più interessata a un uso propagandistico e spettacolare della ricerca che a reali obiettivi culturali e applicativi. La valutazione comparativa dei progetti di ricerca e dei ricercatori che li propongono è imprecisa e richiede inevitabilmente l’uso di criteri e parametri scelti in modo alquanto arbitrario: originalità, fattibilità, numero di pubblicazioni del proponente, numero di citazioni da parte di altre pubblicazioni, qualità delle riviste sulle quali appaiono le pubblicazioni, etc.
Il tasso di successo dei progetti sottoposti all’Erc è inferiore al 10% e quello dei Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (Prin) sottoposti alla valutazione degli esperti del Miur è inferiore al 20%. Assumendo provvisoriamente che “eccellenza” significhi “miglior 10%” o “miglior 20%” è evidente che costruire una classifica che metta in ordine di merito i progetti e trovi l’eccellenza è impresa arbitraria: cambiando il peso o il numero dei parametri considerati, cambierà la classifica e quindi la scelta dell’eccellenza.
Il problema più complesso però non è quello dell’arbitrarietà delle valutazioni di merito della ricerca, ma quello della distribuzione statistica dei progetti presentati alla valutazione. Questi infatti non si raggruppano nettamente in eccellenti, buoni e cattivi, ma nella procedura di valutazione ricevono punteggi distribuiti più o meno come una curva gaussiana, di cui la cosiddetta eccellenza è una coda. Mediamente le valutazioni dei Prin effettuate dal Miur identificano su 100 progetti presentati 20 progetti inadeguati e 80 progetti ammissibili, tra i quali vengono finanziati i “migliori” 20. Sessanta progetti su 80 (il 75%) vengono valutati positivamente ma scartati per l’insufficienza dei fondi.
Per i progetti sottoposti alla valutazione dell’Erc i parametri sono simili, ma la selezione è ancora più severa. Consegue che il principale lavoro svolto dall’agenzia di valutazione ha lo scopo di scartare progetti validi. Nel caso dei progetti nazionali questa pratica assurda ha almeno la motivazione dell’insufficienza dei fondi; ma nel caso dell’Erc questa motivazione viene meno perché i progetti selezionati per il finanziamento ricevono cifre molto elevate, nell’ordine dei milioni di euro.
Cosa succederebbe se anziché cercare l’ineffabile “eccellenza” l’Erc cercasse di finanziare la maggioranza dei progetti validi? A parità di fondi disponibili, anziché finanziare il 10% dei progetti presentati ciascuno con qualche milione di euro, sarebbe possibile finanziarne ad esempio i due terzi con qualche centinaio di migliaia. La probabilità di includere un gran numero di progetti validi, potenzialmente forieri di scoperte rilevanti, sarebbe molto più elevata, e gli errori di valutazione sarebbero meno gravi.
Scartare il terzo inferiore della classifica è un obiettivo molto più realistico che identificarne il miglior 10%: i parametri utilizzati sono sempre arbitrari e imprecisi, ma il bersaglio da colpire è più grande. Inoltre, sarebbe scongiurato il rischio di premiare ricerche e metodiche consolidate a discapito di approcci più innovativi. Infine, e questo è probabilmente il punto più importante, non è possibile costruire una comunità costituita esclusivamente da scienziati e ricercatori “eccellenti”, che presentano progetti altrettanto “eccellenti”.
Eccellenza è un concetto relativo, riferito a una piccola frazione di un gruppo ed esiste perché il gruppo include, oltre agli elementi eccellenti, siano essi i progetti o i ricercatori che li propongono, anche elementi validi, meno validi e appena sufficienti. La meritocrazia è socialmente utile se garantisce la qualità minima degli elementi del gruppo, non se restringe il gruppo alle sue eccellenze più o meno mitologiche, perché la dimensione del gruppo deve essere tale da soddisfare il fabbisogno del paese ed esercitare il ruolo richiesto dalla società in qui è inserita. E questo è vero per qualunque gruppo considerato, sia esso costituito dai progetti di ricerca o dai ricercatori proponenti, o da qualunque altra categoria di lavoratori si voglia considerare.