È colpevole del reato di strage, ma non aveva come finalità l’attentato alla sicurezza dello Stato. Lo ha deciso la corte d’Assise di Bologna che ha condannato Gilberto Cavallini all’ergastolo, riqualificando però il reato contestato dalla procura. La riqualificazione si legge alla seconda riga del dispositivo della sentenza di primo grado per l’ex terrorista nero. Una decisione che i giudici motiveranno fra sei mesi. In attesa delle ragioni della condanna, che arriveranno a quasi 40 anni dall’anniversario del massacro della stazione con 85 morti e 200 feriti, si può solo ragionare su due righe e mezzo del dispositivo. All’imputato, che anche oggi prima che i giudici entrassero in camera di consiglio, si è dichiarato innocente, la procura di Bologna aveva contestato l’articolo 285 del codice penale, che punisce “chiunque, allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, commette un fatto diretto a portare la devastazione, il saccheggio o la strage territorio dello Stato o in una parte di esso”. La Corte invece lo ha condannato al reato previsto all’articolo 422, che punisce chiunque “al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità” provocando la morte di persone. Per la strage sono già stati condannati in via definitiva altri tre ex esponenti dei Nuclei armati rivoluzionari: Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini cui invece veniva riconosciuta la finalità eversiva. Cavallini è dunque il quarto componente del commando del 2 agosto del 1980.
Viene ancora una volta confermata quindi la matrice neofascista della bomba alla stazione, mentre continua a rimanere oscuro il capitolo sui mandanti. In passato sono stati condannati per aver cercato di depistare le indagini sull’eccidio nel capoluogo emiliano uomini delle istituzioni e della massoneria deviata: Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, all’epoca ufficiali del servizio segreto militare, cioè il Sismi, il faccendiere Francesco Pazienza, pure lui all’epoca collaboratore dell’intelligence. Il significato, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza è dunque che, secondo l’avvocato difensore dell’imputato, Alessandro Pellegrini, “non c’era la finalità di attentare alla sicurezza dello Stato”. “Questi sono processi da vedere nell’ottica dei tre gradi di giudizio. Ci sarà l’appello, la Cassazione, siamo solo all’inizio, anche se è grottesco dirlo a 40 anni distanza dal fatto, ma siamo costretti a dirlo. È una sentenza che delude, ma non mi stupisce – commenta Pellegrini – Io e l’avvocato Gabriele Bordoni faremo appello, non molliamo di un millimetro, nel modo più assoluto”. La Corte si è presa 180 giorni per motivare la sentenza e questo è “un tempo proporzionato alla dilatazione temporale di questa vicenda”.
“A nome della Procura esprimo la piena soddisfazione per la condanna inflitta a Cavallini. È un riconoscimento agli sforzi compiuti in questi anni”, dichiara invece il pm Antonello Gustapane, che con i colleghi Antonella Scandellari e Enrico Cieri. “Questo processo ha condannato il quarto Nar alla pena dell’ergastolo, in questa strage fascista e, aggiungo, con inquietanti collegamenti con apparati dello Stato deviati il cui ruolo, in questa istruttoria, ha iniziato a emergere”, dice invece l’avvocato Andrea Speranzoni, del collegio di parte civile per le vittime dell’attentato. “Dobbiamo – continua – leggere le motivazioni sappiamo che c’è da due anni un’indagine sui mandanti in Procura generale. In questo dibattimento è emerso che Gilberto Cavallini aveva dei numeri di telefono di una struttura dell’intelligence, è emerso un covo dei Nar a Roma in via Gradoli in un luogo noto per altre vicende di terrorismo di anni precedenti. Sono emersi molti punti di contatto di Gilberto Cavallini e dei Nar con apparati deviati dello Stato. Questa sentenza ne conferma la responsabilità e riteniamo che recepirà questi accertamenti che l’istruttoria ha consentito di fare, che ci mostrano non più dei Nar spontaneisti, ma dei Nar collegati con apparati dello Stato”.