Dodici condanne e due assoluzioni per il caso delle firme false del M5S di Palermo. La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico di Palermo Salvatore Flaccovio che ha accolto in parte le richieste del pm Claudia Ferra. Condannati anche gli ex deputati nazionali Riccardo Nuti (che nel 2012 era candidato sindaco), Claudia Mannino e Giulia Di Vita. Per loro il giudice ha deciso una condanna a un anno e dieci mesi. Un anno a Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, Ex deputati Ars del M5S. Assolti Pietro Salvino e a Riccardo Ricciardi. La procura aveva chiesto condanne fino a 2 anni e 3 mesi per 14 imputati.
Nuti, Di Vita e Mannino si erano autosospesi dal comitato. Si erano avvalsi della facoltà di non rispondere davanti ai pm, rifiutando anche di lasciare agli inquirenti un campione della propria calligrafia. Secondo la procura, Nuti ed un gruppo ristretto di attivisti, dopo essersi accorti che per un errore di compilazione le firme raccolte erano inutilizzabili, mettendo quindi a rischio la presentazione della lista, avrebbero deciso di ricopiare dalle originali le sottoscrizioni ricevute: in questo modo il vizio di forma era stato corretto. Da qui la contestazione della falsificazione materiale delle firme. A Nuti si imputava di avere fatto uso delle sottoscrizioni ricopiate: era lui, infatti, il candidato primo cittadino dei pentastellati nel 2012. Il cancelliere del tribunale finito nei guai, secondo l’accusa, avrebbe dichiarato il falso affermando che erano state apposte in sua presenza firme che invece gli sarebbero state consegnate dai 5 Stelle.
Durante il processo un investigatore della Digos aveva testimoniato che su circa duemila persone sentite 1.104 non avevano riconosciuto la propria firma. In pratica più della metà delle sottoscrizioni. Erano stati solo 668 quelli che le avevano riconosciute. L’inchiesta nacque da un esposto anonimo presentato nel 2016. Nei fogli allegati alla denuncia – cioè i moduli usati per raccogliere le firme – c’era un errore nel luogo di nascita indicato per uno dei candidati al consiglio comunale.
A raccontare in aula cosa sarebbe avvenuto quella notte è stato il teste principale dell’inchiesta: l’ex attivista Vincenzo Pintagro. “Quando quella sera di aprile del 2012 entrai nella sede del M5S e vidi Samanta Busalacchi e Claudia Mannino che stavano ricopiando le firme, mi misi a gridare: Ma siete pazzi? È una follia, è una grande cazzata. Ma, soprattutto, è un reato!”, ha ricordato il testimone. “Quella sera – ha spiegato – venne convocata una riunione nella sede per le ore 21 e io arrivai mezz’ora dopo. All’ingresso vidi Claudia Mannino e Samanta Busalacchi che stavano ricopiando delle firme. E chiesi: Ma cosa state facendo? Busalacchi mi rispose: C’è stato un errore formale su un luogo di nascita e quindi stiamo ricopiando le firme. Mi sono alterato ed entrai nella stanza più grande dove c’erano almeno quaranta persone, molti erano in piedi. E io dissi a voce alta: Vorrei sapere chi ha dato il permesso di fare questa enorme cazzata, è un reato penale. Mi rivolsi in particolare a due avvocati presenti, cioè Francesco Menallo e Giampiero Trizzino (consigliere regionale ma non coinvolto nel processo ndr). Ma la cosa finì lì”.