In un’epoca in cui il termine populismo è diventato una bestemmia, ecco le rivolte sanguinarie di popolo che sanno di giustizia sociale. 1849 – I guerrieri della libertà di Valerio Evangelisti (Mondadori) srotola otto nove mesi di antefatto, svolgimento e fine cruenta della Repubblica Romana, incatenando il lettore nei bassifondi popolani, zozzi, volgari e violenti dell’Urbe. Facendo capire che le rivoluzioni, quelle vere, quelle che cambiano l’ordine delle cose, si fanno dal basso e con le armi. Romanzo storico con evangelistiano protagonista neutro, apparentemente distante e distratto rispetto ai fatti narrati, che ci fa esplorare da testimone l’ambito politico e sociale con la lente del parvenu: i moti di popolo e i suoi protagonisti, da Ciceruacchio a Garibaldi, dal traditore Pellegrino Rossi a Goffredo Mameli. Il vettore è tal Folco Verardi, garzone panettiere romagnolo, giunto a Roma dopo aver battagliato in retroguardia contro gli austriaci in Veneto, assieme alle altre due componenti del repubblicanesimo dell’epoca: l’illuminato conte Lanzoni e l’inquieto tagliagole giacobino Gabariol. Da un lato della barricata Papa Pio IX prima riformista poi in fuga a Gaeta e infine a chiamare la mamma, francese, per ristabilire l’ordine; in mezzo la Costituente democratica (la tiritera scolastica del triumvirato Saffi-Armellini-Mazzini) ottenuta con la forza e col sangue (i preti sgozzati, per dire); dall’altro la plebe, tutta osterie, fiaschi di vino, bambini scalzi, lame e donne combattenti, umanità disgraziata, coraggiosa e ribelle. Come in tutta la letteratura di Evangelisti, quella non fantasy del pur grandioso Emmerich, l’attenzione per i miserabili è entomologica, il rispetto delle cause egualitariste è sincero e mai retorico, la ricerca storica infinitesimale e inedita. Un romanzo da succhiare come un gocciolante e polposo frutto maturo. Per veri rivoluzionari. Voto 7 e 1/2