Manifestanti in piazza per chiedere le dimissioni del comandante supremo delle forze armate dopo l'abbattimento per errore del velivolo che ha causato la morte di 176 persone. Lui e il presidente Rohani rimasti all'oscuro per due giorni sulla verità dell'incidente
La piazza che chiede le dimissioni del comandante supremo delle forze armate, l’ayatollah Ali Khamenei, nel giorno in cui l’Iran ammette di avere abbattuto per errore il Boeing dell’Ukranian Airlines, causando così la morte di tutti i 176 passeggeri. Una verità che fino a ieri bollava come inaccettabile e che era stata già avanzata come ipotesi dalle potenze occidentali. La conferma di oggi ha scatenato le proteste a Teheran: studenti si sono radunati davanti alla Amirkabir University, per esprimere solidarietà alle famiglie delle vittime. I manifestanti avrebbero dovuto accendere candele per una fiaccolata in memoria delle vittime, ma hanno poi iniziato a gridare “Le dimissioni non bastano, ci vuole un processo” e “Pasdaran, vergognatevi e lasciate il Paese”. E ancora, nella capitale come a Mashhad, ‘Comandante, dimettiti!’, ‘Referendum per la costituzione’ e ‘Il nostro nemico è qui, una bugia dire che sono gli Usa‘.
La polizia ha reagito col lancio di lacrimogeni, ma la richiesta dei manifestanti è chiara: vogliono “riforme” che vadano ben al di là di quelle “operative” promesse dalle Forze armate. A meno di due mesi da una delle più grandi ondate di manifestazioni antigovernative nei quarant’anni della Repubblica islamica, di cui ancora Teheran non ha fornito un bilancio chiaro, nel mirino della gente non c’è più il prezzo della benzina ma direttamente maggiore trasparenza del potere e democrazia nella sua distribuzione.
La gestione della tragedia aerea ha svelato crepe profonde nell’architettura istituzionale iraniana: i Pasdaran hanno detto di aver avvertito subito lo stato maggiore dell’esercito, che ufficialmente ha lasciato all’oscuro il presidente Rohani e persino la Guida suprema Khamenei per più di due giorni. Per questo il governo si è sgolato davanti alle tv di tutto il mondo contro l’ultimo presunto complotto americano. O, magari, qualcuno ha deciso di approfittare della situazione per spingere verso un disastro mediatico e diplomatico, in una resa dei conti interna anche in vista del voto parlamentare previsto tra 40 giorni.