A tre giorni dall’incontro a Palazzo Chigi con Khalifa Haftar – uomo forte della Cirenaica, parte orientale della Libia, sostenuto da Russia, Egitto ed Emirati arabi – il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riceve oggi a Palazzo Chigi il premier del governo di Tripoli Fayez al-Sarraj, unico esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale che gode anche dell’appoggio militare della Turchia. L’incontro avrebbe già dovuto svolgersi tre giorni fa, ma che era saltato all’ultimo minuto per volere dello stesso Sarraj, seccato per l’accoglienza riservata al suo rivale Haftar. Irritazione che ora sembra essere rientrata del tutto: in un primo momento si era parlato di una visita del suo ministro dell’Interno del governo di accordo nazionale libico per lunedì. Poi è stato lo stesso Sarraj a rompere gli indugi e decidere di prendere un volo per Roma. Conferma il vertice a Palazzo Chigi anche Luigi Di Maio che su Facebook, all’indomani del Consiglio Affari esteri dell’Ue, dà conto del lavoro dell’Italia per includere alla Conferenza di Berlino – vertice che si terrà entro gennaio per trovare una soluzione al caos di Tripoli – “i paesi limitrofi alla Libia“, che temono anche il rischio di una nuova crisi umanitaria e di infiltrazioni terroristiche. L’Italia, per parte sua, ribadisce il ministro degli Esteri, chiede “alle parti un cessate il fuoco immediato”.

L’agenda internazionale di Conte – Il governo quindi continua a tessere la sua tela per ritagliarsi un ruolo di facilitatore della pace nel Paese nordafricano. Dopo il colloquio con Sarraj, Conte ha in preparazione una visita in Turchia da Erdogan, lunedì mattina. Nel pomeriggio dello stesso giorno è previsto poi uno spostamento al Cairo per vedere il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Una fitta agenda di colloqui alla ricerca del bandolo nella matassa libica.

L’avanzata di Haftar verso Tripoli – Sul terreno, fallito almeno per ora il cessate il fuoco in Libia proposto mercoledì dalla Russia e dalla Turchia e mentre si moltiplicano gli appelli internazionali a far tacere le armi, le forze di Khalifa Haftar tentano lo sfondamento verso ovest. Dopo Sirte, si combatte per prendere la città di Misurata, roccaforte fedele al premier di Tripoli Fayez al-Sarraj. Qui e nella vicina Khoms il generale ha anche imposto un divieto di navigazione alle navi in arrivo, minacciando di affondarle. E ci sarebbero i primi morti tra i soldati turchi dispiegati nel Paese dal presidente di Ankara Recep Tayyip Erdogan a sostegno del governo di Sarraj.

Quest’ultima notizia manca per ora di conferme ufficiali e resta piuttosto sottotraccia in Turchia, dove solamente il quotidiano Ahval parla di tre soldati uccisi e sei feriti: una ricostruzione accreditata anche da altre fonti vicine al generale di Bengasi e rilanciata da media arabi come Al Arabiya e Al Arab. Se confermato, il fatto smentirebbe le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi da Erdogan secondo cui i soldati turchi – 35 quelli inviati in Libia con il primo contingente – non avrebbero partecipato direttamente alle operazioni militari. Sul fronte della diplomazia, dal vertice dei ministri degli Esteri europei riunito a Bruxelles per fare il punto sulle crisi mediorientali è risuonato nuovamente un appello ad applicare un efficace embargo sulle armi verso la Libia. Così come è stata sottolineata l’esigenza di accelerare sulla conferenza di Berlino per far sedere al tavolo gli attori in gioco sullo scenario nordafricano. Un’esplicita richiesta in tal senso è arrivata anche dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. La cancelliera tedesca Angela Merkel volerà ad Ankara il prossimo 24 gennaio per tentare di convincere Erdogan a non disertare il vertice.

In questa fase, restano roventi le linee delle cancellerie di mezzo mondo, con continue telefonate incrociate tra i leader. Gli occhi sono tutti puntati sulle mosse del generale Haftar che a sorpresa ha deciso di snobbare l’invito di Putin al cessate il fuoco, nonostante la Russia sia uno dei suoi principali sponsor. Resta da capire se la sua sia una mossa tattica tesa a guadagnare terreno il più possibile in vista di domenica, data in cui sarebbe dovuta scattare la tregua, o se l’uomo forte di Bengasi abbia deciso di andare fino in fondo con la sua offensiva.

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