Matteo Salvini ha una condanna per razzismo: una pena di 5.700 euro per quel coro contro i napoletani intonato alla Festa della Lega Nord a Pontida nel 2009“. L’attuale segretario della Lega ed ex ministro dell’Interno, era stato colpito dal provvedimento per aver violato la legge Mancino, quella che punisce chi compie azioni discriminatorie. Di questa sentenza, però, non era mai emersa prima la notizia: è arrivata per mezzo di un decreto penale di condanna, quando su richiesta di un pm il giudice stabilisce una pena pecuniaria senza passare per un processo. Ne dà conto oggi Cronaca Qui, quotidiano di Torino, che ha scoperto questa notizia tra gli atti del processo contro Salvini per vilipendio alla magistratura, in corso nel capoluogo piemontese: “Salvini condannato per razzismo”, titola il giornale.

I fatti risalgono al giugno 2009. La sera del 13 Salvini – all’epoca capogruppo della Lega Nord al Comune di Milano e deputato da poco eletto al Parlamento europeo – si trova a Pontida (Bergamo) alla Festa del Carroccio e, bevendo una birra in compagnia dei “Giovani padani”, lancia il coro discriminatorio: “Senti che puzza/scappano anche i cani: sono arrivati i napoletani. Sono colerosi, terremotati, con il sapone non vi siete mai lavati”. Qualcuno riprende la scena e il video finisce online il 7 luglio. Salvini si scusa, ma soltanto parzialmente: “Se ci sono napoletani che si sono sentiti offesi – dichiara quel giorno a Radio24 – porgo le mie più sincere e sentite scuse, ma ritengo che un politico vada valutato per quello che fa, non quello che dice un sabato sera tra amici quando si parla di calcio”. Poi si dimette dalla carica di deputato solo per una “singolare coincidenza”, come afferma lui, perché in quel giorno scadeva il termine per optare tra il seggio a Montecitorio e quello a Bruxelles, due ruoli incompatibili.

Nel frattempo però, questo il fatto fino ad oggi sconosciuto e rivelato dal quotidiano torinese, due cittadini napoletani sporgono una querela finita alla procura di Bergamo, che iscrive Salvini nel registro degli indagati per diffamazione e violazione della legge Mancino, che punisce “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. L’accusa, ritenendo che l’indagato potesse subire soltanto una pena pecuniaria, chiede e ottiene dal giudice l’emissione del decreto penale di condanna finito adesso agli atti del processo torinese.

Nel 2018 la Lega – per voce dell’allora ministro della Famiglia Lorenzo Fontanapropone proprio di abolire la legge Mancino e ottiene il sostegno di Salvini, ministro dell’Interno: “Già in passato la Lega aveva proposto di abolire la legge Mancino. Sono d’accordo con la proposta di Fontana: alle idee contrappongono altre idee, non le manette”. A mettersi di traverso è il Movimento 5 stelle, allora alleato di governo. L’abrogazione quindi non va in porto, ma viene modificata una condizione: il codice di autoregolamentazione delle candidature, adottato nel 2014 e rivisto dalla maggioranza gialloverde nella primavera 2019, non considera più come “impresentabili” i candidati condannati per la violazione della legge Mancino.

Il decreto penale di condanna è del 31 luglio 2013 ed è diventato esecutivo il 4 aprile 2014. La sentenza è citata nel certificato penale di Salvini.

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