A 13 anni di distanza dalla nascita del Partito democratico, Nicola Zingaretti ne ha annunciato la fine: “Vinciamo in Emilia-Romagna, e poi cambio tutto: sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito…”. L’attuale segretario lo ha spiegato sulle pagine di Repubblica, parlando di una decisione ormai già presa: “Convoco il congresso, con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura“, ha detto Zingaretti. “Non penso a un nuovo partito, ma a un partito nuovo, un partito che fa contare le persone ed è organizzato in ogni angolo del Paese”. Una svolta non rinviabile perché “l’Italia sta gradualmente tornando a uno schema bipolare“, la nuova legge elettorale porta a dover “costruire il soggetto politico dell’alternativa” e il Pd ha bisogno di essere più inclusivo: “Dobbiamo rivolgerci però alle persone, e non alla politica ‘organizzata’. Dobbiamo aprirci alla società e ai movimenti che stanno riempiendo le piazze in queste settimane. Non voglio lanciare un’opa sulle Sardine, ci mancherebbe altro, rispetto la loro autonomia: ma voglio offrire un approdo a chi non ce l’ha…”, ha raccontato Zingaretti, facendo riferimento anche ad altre parti della sinistra, come ad esempio i sindaci ‘civici’ Beppe Sala e Antonio Decaro.
La svolta annunciata dal segretario ha raccolto i consensi di molti esponenti del Pd, con la richiesta però che il cambiamento non sia “fuffa”, come ha detto Matteo Orfini, o non si trasformi in “un’operazione di facciata”, usando le parole del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, intervenuto dal palco dell’evento in corso a Milano, ‘Nord Face. Lavoro, sviluppo, ambiente: il Nord per l’Italia‘, dove Zingaretti era seduto in prima fila. “Sarà un percorso interessante e credo utile per il nostro paese e per il nostro partito”, ha commentato invece il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio. Così come positivo è anche il vicesegretario Andrea Orlando: “È necessario ragionare su come rifondare il partito”.
“Non è detto che tutte le anime che Nicola evoca siano disponibili ad entrare nel Pd per come lo vedono oggi, in una realtà diversa magari lo sarebbero”, ha detto Sala, spingendo verso la strada che porta a un nuovo partito. “È il momento del coraggio perché così noi potremmo accontentarci di essere un partito del 20%, ma credo che sia accontentarsi troppo”, ha aggiunto il primo cittadino di Milano. Parlando a margine dell’evento, Zingaretti ha aperto anche alla questione del cambio di nome: “Questo lo decideremo – ha risposto – Non credo che si debba partire né dai nomi, né dalle formule organizzative”. Il cambio di nome del Pd “non mi pare il punto di partenza, mi pare piuttosto l’esito eventuale di un percorso che sappiamo come inizia ma non possiamo definire quale sia la conclusione”, ha aggiunto anche Orlando.
Le reazioni dei dem: “Sì all’apertura verso la società”
Per il vice, la svolta annunciata “diventa ancora più urgente nel momento in cui nella società si manifestano movimenti che vanno interpretati e ai quali bisogna dare una risposta”. “Non credo – ha rimarcato Orlando – che ci sia niente di particolarmente nuovo rispetto a quello che abbiamo detto nel corso dei mesi precedenti, ci siamo dati anche delle regole che consentono dei percorsi che partono dalle idee piuttosto che dalla competizione sulle persone”. “Sì all’apertura verso la società – ha aggiunto, interpellato sull’apertura verso nuovi soggetti come le Sardine – siamo un partito che ha avuto un momento di forte crisi. Questa crisi è stata affrontata, abbiamo avuto alcune iniziali risposte, ma bisogna andare oltre le risposte che siamo riusciti a realizzare fino a qui”.
È ottimista anche Delrio: “Il segretario vuole dire che c’è bisogno di una ridefinizione dei nostri obiettivi, una maggiore apertura alla società, una maggiore attenzione ai problemi della società e anche una maggiore attenzione a una nuova classe dirigente. Quindi sarà un percorso interessante e credo utile per il nostro paese e per il nostro partito”, ha commentato. Mentre a chiedere concretezza è il parlamentare democratico Orfini: “Voglio prendere sul serio questa svolta. Ma perché non sia solo fuffa, c’è bisogno di chiarezza su alcuni punti”, ha scritto su Facebook. “Oggi c’è un popolo che scende in campo e si mobilita contro la destra, ma non si riconosce e a volte nemmeno vota i partiti del centrosinistra. Se vogliamo dargli rappresentanza non possiamo chiedergli di entrare in ciò che rifiutano. Ma dobbiamo riplasmare il nuovo soggetto politico su di loro, su quel popolo”.
Il colloquio di Zingaretti con Repubblica
Il primo passo indicato da Zingaretti per cominciare la sua sfida è la vittoria in Emilia-Romagna il prossimo 26 gennaio: “Il Pd sta facendo la campagna elettorale per Bonaccini in splendida solitudine”, ha detto il segretario. Che invece ha lamentato lo stallo nella maggioranza: “Non possiamo fare melina fino al 26 gennaio, non possiamo fare ogni giorno l’elenco delle cose sulle quali non c’è accordo”. Anche per questo, ha sostenuto, c’è bisogno di un “partito nuovo”, per usare le sue parole. “Io lo dico ogni giorno a Conte e a Di Maio: un’alleanza è come un’orchestra, il giudizio si dà sull’esecuzione dell’opera, non sulla fuga di un solista che casomai dà pure fastidio alle orecchie. Non è il tempo di distruggere ma di costruire. E quella che va costruita subito è una visione e poi un’azione comune, su pochi capitoli chiari: come creare lavoro, cosa significa green new deal, come si rilancia la conoscenza, come si ricostruiscono politiche industriali credibili nell’era digitale“.
Temi e proposte generiche per un nuovo Pd: “Si può dire quello che si vuole, ma questo salto di qualità lo può fare solo il nostro partito”, è stato il messaggio di Zingaretti. “Il Pd è salvo, oggi non è più il partito debole, isolato e sconfitto del 4 marzo 2018. Abbiamo retto l’urto di due scissioni e oggi i sondaggi ci danno al 20%”, ha continuato il segretario, rivendicando il lavoro fatto dopo lo strappo di Matteo Renzi, che nel frattempo ha fondato Italia Viva. “Siamo l’unico partito nazionale dell’alleanza, l’unico che si presenta ovunque alle elezioni, l’unico sul quale si può cementare il pilastro della resistenza alle destre“, ha rivendicato Zingaretti.
Il suo Pd, ha detto il segretario, non è subalterno al M5s perché “la linea unitaria sta pagando, come dimostrano i sondaggi”. Proprio per questo, è il suo ragionamento, a sinistra è il momento giusto per un rinnovamento: “Non dobbiamo essere pigri: io ho scommesso tutto su unità e apertura. Ho vinto il congresso dell’anno scorso nello spirito di ‘Piazza Grande’, lontano dagli schemini politici e vicino alle persone, nel nome dell’apertura e dell’allargamento, del noi e non dell’io, di una politica ragionata e non urlata. Dopo 12 anni ho voluto cambiare lo statuto proprio perché nel Pd non c’era neanche più il congresso, ma solo la scelta del segretario. Ora non è più così. Ma ora dobbiamo portare fino in fondo quel processo di cambiamento… “.