L’Italia è il peggiore tra gli Stati europei più popolosi per differenza di reddito tra i ricchi e i poveri: nel nostro Paese il 20% della popolazione con i redditi più alti può contare su entrate più di sei volte superiori a quelle di coloro che sono nel 20% più in difficoltà. Una forbice che nell’ultimo decennio si è allargata: la differenza era di 5,21 volte nel 2008, è diventata appunto di 6,09 volte nel 2018. I dati sul gap tra le diverse fasce di reddito sono stati aggiornati dall’Eurostat e fotografano la situazione dell’Italia prima del 2019. La lettura delle statistiche evidenzia anche una differenza tra il Nord e il Sud: il minor divario tra ricchi e poveri si registra in Regioni come Friuli Venezia Giulia (4,1) e Provincia di Bolzano (4), mentre la forbice è a livelli record in Campania e Sicilia, dove il 20% benestante ha un reddito 7,4 volte superiore al quintile più disagiato della posizione.
Nel 2018 il governo aveva rafforzato il Reddito di Inclusione in favore della povertà, con circa 300 milioni, ma a giudicare dai dati forniti dall’istituto di statistica europeo non sarebbe riuscito a contrastare l’aumento del gap tra i ricchi e i poveri. La crescita della distanza tra i due gruppi, a scorrere la tabella dei vari anni, appare quasi inesorabile. Dal 2008, l’anno in cui è scoppiata la crisi negli Usa che ha lambito l’Europa solo nella parte finale dell’anno, il differenziale tra ricchi e poveri è aumentato di una ulteriore unità: se allora valeva 5,21 volte, nel 2016 si era saliti al 6,27 volte (un record), per poi ridiscendere al 5,92 del 2017 e sfondare di nuovo la soglia del sei, a 6,09 volte, nel 2018. Nell’ultimo decennio, insomma, i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. I dati dell’Eurostat non arrivano al 2019 e quindi non valutano ancora il possibile impatto del reddito di cittadinanza.
Oltre alla tendenza, per l’Italia non arrivano buone notizie nemmeno dal confronto con il resto d’Europa. L’allargamento della forbice tra ricchi e poveri nel nostro Paesi lo si vede guardando alle medie: nell’eurozona il divario complessivo è di 5,07 volte, quello dell’Ue a 28 di 5,17 volte. L’Italia è ben più su, messa poco peggio della Spagna (6,03 volte), mentre è molto minore la disuguaglianza in Germania (5,07 volte) e soprattutto nella vicina Francia (4,23 volte). L’Italia è la peggiore, per ampiezza del gap, tra le nazioni più popolose. Nella lista dei 28 aderenti – guidata da Serbia, Bulgaria e Romania, con un divario rispettivamente di 8,58, 7,66 e 7,21 volte – si piazza al settimo posto. Fanno peggio di noi solo altri 4 Paesi: Lituania, Albania, Lettonia e Macedonia.
La lettura dei dati mostra inoltre un ascensore sociale bloccato, un maggior livellamento tra i pensionati ma anche che la differenza tra ricchi e poveri non ‘discrimina’ tra uomini e donne. La difficoltà di passare da una classe all’altra è segnata dai dati sugli under65: nell’età da lavoro il ‘gap’ ricchi-poveri è più alto, di 6,55 volte. Tra i pensionati, invece, si attesta a 4,86 volte. Povertà e ricchezza comunque non guardano al ‘gender gap’: il divario di 6,10 punti degli uomini si affianca quello di 6,8 volte delle donne.
Il dato per regioni evidenzia che il divario, oltre che tra ricchi e poveri, è anche tra Nord e Sud. O meglio: nelle Regioni storicamente benestanti, è anche meno larga la forbice tra chi ha di più e chi ha di meno. In questo caso le informazioni si fermano al 2017, anno in cui il minor divario si registra a Bolzano (4 volte la differenza tra i redditi) e in Friuli (4,1), seguite da Veneto e Umbria (4,2 volte). Il Lazio segna un indice del 6,5, la Lombardia si ferma a 5,4 mentre Sicilia e la Campania registrano i divari più ampi: il 20% dei più ricchi ha un reddito che è 7,4 volte tanto la corrispondente fascia dei più poveri. In Calabria il divario è di 7,1 volte, in Sardegna di 6,7. Al Sud fanno meglio Basilicata e Puglia, dove la forbice è calcolata in un divario di 5,5 volte.