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Ottava tappa – gli incendi e i saperi degli aborigeni

Ci muoviamo in direzione della costa Nord della Tasmania, attraversando grandi distese di vigneti e coltivazioni di papavero da oppio (utilizzati a a scopo medicinale). La foresta naturale si alterna ai campi in un gradevole mosaico.

Alla radio continuano i bollettini sulla situazione incendi. Le previsioni sono preoccupanti e si aspetta una nuova ondata di incendi, causati dalle temperature in continuo aumento. Ci fermiamo lungo la strada all’altezza di una colonia di pinguini minori blu (little penguins). Sono i più piccoli pinguini al mondo e passano gran parte della giornata a pesca in pieno oceano. Le loro piccolissime ali funzionano come delle pinne straordinarie.

Il sole è basso all’orizzonte ma i pinguini non sono ancora tornati alle loro tane lungo la costa. Ad aspettarli con il binocolo in mano c’è Jeff, un vigile del fuoco volontario (sono moltissimi i volontari che aiutano a combattere gli incendi), che dà libero sfogo alla sua passione di bird watching, prima di partire per il continente. Parliamo con lui degli incendi e di come questo fenomeno, un tempo naturale, abbia raggiunto le dimensioni di una tragedia.

L’aumento delle temperature e le lunghe siccità causate dal cambiamento climatico sono le prime ragioni. Ma secondo lui non bisogna trascurare il fatto che molte foreste che bruciano sono state degradate dall’uomo: le foreste naturali sono molto più resilienti agli incendi mentre quelle sovrasfruttate e quelle ripiantate (realizzate spesso con specie non locali e senza rispettare la diversità) non solo bruciano molto più facilmente, ma creano le condizioni perché i roghi si estendano anche alle foreste naturali.

Un tempo, inoltre, prima della colonizzazione occidentale che ha di fatto eradicato le comunità indigene, gli aborigeni utilizzavano sapientemente il fuoco: gestivano la vegetazione con piccoli incendi controllati, soltanto nei mesi invernali. Questi fuochi, finalizzati soprattutto alla caccia, impedivano che sul suolo si accumulassero troppi residui secchi, facilmente infiammabili, come la resinosa corteccia degli eucalipti. Purtroppo con la scomparsa degli aborigeni si è persa anche la loro conoscenza, i loro saperi e quelli che qui chiamano cultural fires.

Per quanto sia da anni che Jeff lotta contro gli incendi, non si è mai trovato a dover fronteggiare un anno come questo. “Ormai sono abituato a vedere durante gli incendi tanta sofferenza: ci sono famiglie che perdono tutto quello che hanno. Io ho avuto amici e colleghi che hanno perso la vita. Ma quello a cui non riuscirò mai ad abituarmi è la sofferenza degli animali. Sono troppi gli animali che non riescono a scappare dalle fiamme e quelli che ci riescono sono spesso feriti e ustionati… ma per noi è impossibile aiutarli. Ti senti veramente impotente. I koala quando sentono avvicinarsi l’incendio invece di fuggire salgono più in alto sulla cima degli eucalipti, convinti di mettersi in salvo. E tante volte fra le fiamme li ho sentiti gridare”.

Per fortuna l’arrivo rumoroso e brioso dei pinguini, dopo una lunga giornata di pesca, riesce a ridarci un po’ di allegria, allontanando i nostri pensieri dalla tragedia degli incendi e dalle sofferenze che la nostra specie sta infliggendo al pianeta vivente.

Nona tappa – le grandi matriarche della foresta

Arriviamo finalmente nel cuore pulsante della foresta pluviale tasmana, nell’angolo nord occidentale dell’isola. Siamo nella regione del Tarkine, la più grande distesa di foreste pluviali temperate del mondo, nonché la meta più ambita di tutto il nostro viaggio. La Tasmania sempre sognata, quel grande mare di alberi, felci e fiumi, è finalmente davanti a noi.

La prima esplorazione la facciamo con la guida del nostro lodge, Maree, che da 30 anni vive in queste foreste. Ci lasciamo alle spalle il mondo dell’uomo, fatto di strade, coltivazioni, mucche, e, su un tappeto di muschio, entriamo dentro la volta della foresta. Questo è il mondo delle felci arboree, degli alberi centenari, delle radici, del legno vivo e di quello marcio, dei funghi e dei ruscelli.

Sentiamo solo il suono di insetti invisibili (in Tasmania ritroviamo la quantità di insetti ronzanti che si sono persi in Europa), di pappagalli lontani, di cortecce che scricchiolano e dei nostri passi sui licheni. È la foresta più straordinaria che abbia mai visitato: è quella degli antichissimi faggi antartici, già presenti al tempo di Gondwana, quando anche l’Australia faceva parte di un unico grande continente. Da anni il Wwf Australia si batte per conservare questo straordinario tassello di natura selvaggia, incredibilmente ricco di specie uniche al mondo.

Maree ci porta a vedere il più grande di questi colossi che lei chiama, giustamente, matriarche: ha più di 800 anni. Riesci a palparne l’enorme tronco spugnoso, ma per intravedere lassù nel cielo la fronda, devi piegare il collo all’indietro e ne intravedi solo i rami più bassi. L’accarezziamo con un grande rispetto, auspicandoci che possa continuare a vivere altre centinaia di anni, in barba all’umanità.

Trent’anni fa Maree faceva la postina, ma poi ha deciso di lasciare tutto per dedicarsi alla sua passione per le foreste. Il suo unico obiettivo è quello di salvarle dal disboscamento che sta divorando anche Tasmania. Neanche un paese avanzato come l’Australia ha capito che le foreste sono cruciali per aiutarci a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici. Anzi forse non ha neanche capito che i cambiamenti climatici sono la peggiore minaccia per il suo benessere.

Maree mi fa vedere su una carta quanto in pochissimi anni sia già stato distrutto. “Il fatto – dice – è che solo una piccola superficie delle foreste del Tarkine è protetta. La gran parte è mercé dell’industria del legno, che continua a tagliare e bruciare. Loro la chiamano rigenerazione forestale, ma è una buffonata. Questa foresta non può rigenerarsi, tanto meno in uno scenario di riscaldamento globale. Quello che distruggiamo è perso per sempre. Le felci arboree crescono lentissime, un centimetro l’anno e molte di quelle che vedi qui intorno hanno centinaia di anni. Per non parlare dei faggi. Per crescere queste piante preistoriche hanno bisogno di una foresta umida e antica. Non certo di una foresta rigenerata dall’uomo. Quello che sta succedendo in Australia fa male al cuore. Io so cosa voglia dire quando una foresta brucia. È una sofferenza inimmaginabile per tutti… comprese le piante e gli animali.”

È per questo che da sei anni Maree, insieme a un agguerrito piccolo gruppo di ambientalisti, nel periodo estivo (d’inverno non è necessario perché il terreno è troppo bagnato per tagliare) presidia una delle poche strade di accesso alle grandi concessioni forestali nelle foreste del Tarkine, facendo il possibile per fermare le ruspe, le motoseghe e i grandi articolati che si portano via gli alberi.

Maree ha anche comprato diversi ettari di concessioni forestale dove porta la gente a conoscere la foresta. È convinta che l’energia delle grandi matriarche possa conquistare il cuore della gente, spingendoci a diventare persone migliori.

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