Quarantotto anni, un passato in Serie A con Inter, Torino e Parma, tra gli uomini che trascinarono la Turchia fino alla semifinale nei Mondiali 2002, l'ex attaccante vive a Washington, in fuga dal regime che aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti. In un'intervista all'edizione domenicale del Welt racconta: "Sono un nemico del governo, ma non dello Stato o della nazione. Mio padre è stato incarcerato, i miei beni confiscati"
Prima suo parlamentare, poi allontanato, infine accusato di aver fatto parte dei golpisti nel 2016 e costretto a fuggire. Così una stelle del calcio turco, Hakan Sukur, oggi è costretto a fare l’autista di Uber negli Stati Uniti per sopravvivere. Quarantotto anni, un passato in Serie A con l’Inter, il Torino e il Parma, tra gli uomini che trascinarono la Turchia fino alla semifinale nei Mondiali 2002, l’attaccante vive a Washington, in fuga dal regime di Recep Tayyip Erdoğan che aveva spiccato un mandato di cattura nei suoi confronti.
Ha raccontato la sua disavventura all’edizione domenicale del quotidiano tedesco Welt. Una lunghissima intervista in cui ripercorre i suoi contrasti con il presidente turco e l’inizio dell’incubo, nel 2016, quando viene accusato di aver preso parte al colpo di stato fallito messo in atto da Fetullah Gulen, ex alleato e poi nemico giurato di Erdoğan. “Mi ha tolto tutto, non mi è rimasto niente. Non sono un traditore”, racconta spiegando che gli è toccato lo stesso destino economico di Gulen. E simile a quello di altri sportivi turchi ‘nemici’ del presidente, come il cestista Enes Kanter, pivot dei Boston Celtics, o l’ex calciatore curdo Deniz Naki.
“Quale sarebbe stato il mio ruolo? Nessuno è in grado di spiegarlo. Ho sempre fatto cose legali. Non sono un traditore o un terrorista. Sono un nemico del governo, ma non dello Stato o della nazione, amo il mio Paese”, racconta invitando anche i suoi ex colleghi İlkay Gündoğan e Mesut Özil, entrambi sostenitori di Erdogan, ad entrare nell’Akp “per capire davvero cosa è il partito” del presidente.
“Grazie al partito era aumentata la mia popolarità. Poi quando sono iniziate le ostilità è cambiato tutto. Ricevevo continue minacce dopo ogni dichiarazione – ricorda l’ex attaccante del Galatasaray – Hanno lanciato bombe nella boutique di mia moglie, i miei figli sono stati molestati per strada”. Non solo: “Mio padre è stato incarcerato e tutti i beni sono stati confiscati”, aggiunge la stella della Nazionale di calcio turca, con la quale detiene tuttora il record di reti segnate. E nonostante il suo trasferimento negli Stati Uniti i problemi, aggiunge, sarebbero continuati: “Ho gestito una caffetteria in California, ma venivano persone strane al bar che suonavano la musica Dombra (la musica dei ‘veri turchi’ secondo l’Akp)”.
Così, oggi, si aggira le per le strade della capitale degli Stati Uniti portando turisti e residenti in giro sulla sua auto, prenotabile tramite l”app Uber. E, inoltre, vende anche libri. E attraverso il Welt si rivolge direttamente a Erdoğan invitandolo alla “democrazia, alla giustizia e ai diritti umani”. In questo modo, conclude, diventerà “il presidente di cui la Turchia ha bisogno”.