Aiuteranno gli operatori che forniscono assistenza domiciliare alle persone anziane, oppure faranno da supporto a chi si occupa della manutenzione del verde pubblico. Sono due esempi delle attività che dovranno svolgere i beneficiari di reddito di cittadinanza (con alcune esenzioni). L’obbligo scatta con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale lo scorso 8 gennaio del decreto del ministero del Lavoro che definisce ambiti, caratteristiche e paletti dei Puc, i progetti utili alla collettività: i beneficiari del redditto dovranno dare la propria disponibilità a svolgere attività non retribuite “in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni”, come già previsto dal decretone approvato nel febbraio scorso, mentre continueranno la loro ricerca di un lavoro tramite i Centri per l’impiego. In pratica, un ritorno con una nuova formula dei lavori socialmente utili, che furono introdotti per la prima volta nel 1993 per coloro che ricevano la cassa integrazione straordinaria e poi estesi anche ai lavoratori in mobilità e ai disoccupati di lunga durata con il pacchetto Treu del governo Prodi I. Uno strumento ora in mano ai Comuni, a cui spetta la titolarità dei progetti, per potenziare le loro attività a sostegno della collettività. Una volta che le amministrazioni definiranno i lavori da svolgere, chi non rispetterà l’obbligo – previsto tra un minimo di 8 e un massimo di 16 ore settimanali – vedrà decadere il sussidio.
Cosa faranno i beneficiari
Ovviamente, l’obbligo di partecipare ai Puc sussiste solo nel momento in cui il proprio Comune di residenza organizza dei progetti. L’approvazione di un’attività dovrà indicare tempistiche, risorse necessarie e soggetti da coinvolgere. Il decreto del ministero del Lavoro specifica che è auspicato il coinvolgimento degli enti del terzo settore, come le organizzazioni di volontariato. “Il progetto può riguardare sia una nuova attività sia il potenziamento di un’attività esistente”, che però non deve mai essere assimilabile a un lavoro dipendente o autonomo, anche perché non è previsto alcun rimborso per il beneficiario. Anche per questo, le persone coinvolte non potranno sostituire lavoratori già assunti dal Comune né avere ruoli di responsabilità. Dovranno, appunto, essere un supporto per un potenziamento del servizio di assistenza domiciliare alle persone anziane, oppure aiutare gli operatori che curano il verde pubblico. In ogni caso, dovranno essere attività individuate “a partire dai bisogni e dalle esigenze della comunità”.
Il decreto del ministero del Lavoro fornisce anche alcuni esempi di esperienze e iniziative che potrebbero essere previste nei progetti. In ambito culturale, si può andare dal supporto nell’organizzazione di manifestazioni ed eventi fino al controllo e alla cure delle biblioteche. In ambito sociale, vengono citati l’accompagnamento allo scuola bus degli alunni, oppure il recapito della spesa a casa delle persone anziane. Così come, guardando all’ambito artistico, un beneficiario potrà aiutare nell’organizzazione di mostre o nella gestione dei musei. Poi c’è l’ambiente: dalla raccolta dei rifiuti alle attività di informazioni sulla raccolta differenziata, sono diversi gli ambiti in cui i beneficiari possono essere impegnati. Anche in ambito formativo possono essere previsti dei progetti che riguardino ad esempio il supporto nella gestione dei doposcuola o dei laboratori professionali. Infine, guardando alla tutela dei beni comuni, i beneficiari potranno svolgere la manutenzione dei giochi per bambini nei parchi, come la tinteggiatura di locali scolastici.
Per favorire “le propensioni individuali nella scelta dei progetti”, il decreto del ministero del Lavoro prevede che i beneficiari possano “fornire le proprie preferenze in riferimento alle
aree di intervento dei progetti”. A percettori del reddito quindi verranno offerte per prime delle attività più adatte “al loro profilo”. Il Comune infatti dovrà tenere conto delle preferenze nell’abbinare i beneficiari ai diversi progetti. Questo fermo restando che deve essere individuata un’attività per ciascuno dei beneficiari residenti e che questi ultimi sono comunque tenuti ad aderire.
Regole, limiti ed esonero dall’obbligo
L’obbligo di prendere parte ai progetti è prevista tra gli impegni assunti dal beneficiari con la sottoscrizione del Patto per il Lavoro e del Patto per l’Inclusione Sociale, prevista per poter accedere al reddito di cittadinanza. Mentre sono alla ricerca di un impiego – devono svolgere ricerca attiva del lavoro, sostenere colloqui e prove finalizzate all’assunzione, accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue – i beneficiari svolgeranno queste attività di aiuto alla collettività. La mancata partecipazione ai progetti, nel caso in cui il Comune di residenza li abbia istituiti, comporta la decadenza del sussidio. L’impegno minimo richiesto è di 8 ore settimanali: il massimo invece arriva a 16 ore a settimana. Le otto ore settimanali possono essere distribuite a piacimento su più giorni, così come su più periodi nell’arco di un mese, con l’obbligo però di arrivare a fine mese avendo svolto le ore di lavoro previste. Esiste anche una possibilità di recupero delle ore mancanti, prima di arrivare alla decadenza del beneficio. A tal fine, i Comuni dovranno istituire un registro dei partecipanti in cui segnare presenze, ora d’inizio e fine dell’attività.
A tal proposito, dopo un’assenza ingiustificata di otto ore il beneficiario verrà richiamato. Se, a seguito di un ulteriore e analogo, si verifica un nuovo episodio di assenza ingiustificata (per quindi complessive 24 ore di assenza non giustificata), verrà inviata da parte del Comune comunicazione all’interessato della necessità che l’assenza sia giustificata entro un congruo termine, pena la segnalazione all’Inps della mancata adesione al progetto che comporta la decadenza del beneficio. Nel caso di motivazioni che possono giustificare l’interruzione della partecipazione al progetto (ad esempio, la non coerenza tra progetto e persone segnalate dai servizi), gli operatori valuteranno la rotazione su altri progetti.
Non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza però sono tenuti a dare la loro disponibilità a partecipare a progetti di pubblica utilità. La partecipazione è solo facoltativa per chi è inserito nell’articolo 4, comma 2, del Decretone del febbraio 2019. Si tratta delle persone occupate con un reddito superiore a 8.145 euro per lavoro dipendente e 4.800 euro per lavoro autonomo, delle persone che frequentano un corso di studi o di formazione, dei beneficiari della Pensione di cittadinanza, dei beneficiari over 65, dei componenti con disabilità, dei componenti di un nucleo famigliare che devono prendersi cura di minori o persone con disabilità grave o non autosufficienti. Inoltre, sono esonerato dall’obbligo anche le persone che lavorano già più di 20 ore settimanali, che svolgono tirocini, che non si trovano in condizioni di salute idonee (compresa la gravidanza).
Coordinamento tra Comuni e Centri per l’impiego
Tenuto conto del fatto che sono tenuti a partecipare ai Puc sia i beneficiari che sottoscrivono il Patto per l’Inclusione Sociale che quelli che sottoscrivono il Patto per il Lavoro, il decreto del ministero definisce anche il coordinamento tra i Comuni e i Centri per l’Impiego. Quando tutte le disposizioni previste dal testo sul reddito di cittadinanza saranno a regime – e quindi i Comuni avranno attivati i progetti – il ministero prevede che “le due piattaforme che compongono il Sistema informativo del Reddito di cittadinanza dovranno dialogare in maniera che il ‘catalogo’ dei Puc con posti vacanti a livello comunale, aggiornato dinamicamente, sia reso disponibile dalla Piattaforma Gepi (Gestione patti per l’inclusione sociale), non solo agli operatori sociali già accreditati, ma anche agli operatori dei Centri per l’impiego”. In pratica, l’obiettivo è far sì che gli operatori potranno immediatamente individuare a quale possibile progetto può partecipare, in base alle sue competenze e alle disponibilità, chi sottoscrive un Patto per l’Inclusione Sociale o un Patto per il Lavoro.