Stando così le cose, verrebbe meno il motivo che, secondo lo stesso presidente, ha giustificato l'attacco a un alto militare della Repubblica Islamica in un Paese terzo. Inoltre, alcuni media rivelano che l'autorizzazione all'operazione speciale era stata rilasciata già sette mesi fa
La decisione di uccidere con un raid il generale delle Forze Quds delle Guardie della Rivoluzione iraniana, Qassem Soleimani, rischia di ritorcersi contro il presidente americano, Donald Trump. Al centro dei nuovi attacchi nei suoi confronti sono le dichiarazioni del capo del Pentagono, Mark Esper, che domenica ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’esistenza di prove su “imminenti” attacchi a quattro ambasciate Usa architettati dal generale di Teheran prima della sua morte. “Non importa se gli attacchi fossero ‘imminenti’ o meno – si è difeso l’inquilino della Casa Bianca – Ciò che conta è il suo (di Soleimani, ndr) orribile passato”. Ma alcuni media rivelano che l’ok preliminare all’operazione il tycoon l’avesse autorizzato già 7 mesi fa, al contrario di quanto dichiarato dalla Casa Bianca. Versione che smentirebbe quella dell’inquilino della Casa Bianca, facendo così cadere le motivazioni dietro al raid Usa.
Il segretario della Difesa Usa, parlando ai microfoni della Cbs, in riferimento alle prove a cui alludeva Trump poche ore dopo l’attacco ha dichiarato: “Non ne ho vista in merito alle quattro ambasciate”. Aggiungendo però: “Condivido la visione del presidente che probabilmente avrebbero attaccato le nostre ambasciate”. La risposta è la prima ad arrivare dopo che i media americani, già poche ore dopo l’attacco, hanno iniziato a chiedere ripetutamente ai membri dell’amministrazione Usa a cosa si riferisse il presidente quando aveva giustificato il raid con il pericolo di attacchi “imminenti” orchestrati da Soleimani. “Non so esattamente in quale momento – aveva risposto il segretario di Stato, Mike Pompeo – Non conosciamo il giorno esatto degli attacchi, ma era molto chiaro (che li avrebbero sferrati, ndr). Qassem Soleimani stesso stava organizzando un grande complotto, un attacco su larga scala contro gli interessi americani e questi attacchi erano imminenti”.
Le domande dei reporter avevano portato poi Trump a dare maggiori informazioni, sostenendo che “probabilmente questi (attacchi, ndr) avrebbero coinvolto quattro ambasciate”. Versione, quest’ultima, smentita dalle parole del capo del Pentagono che ha ammorbidito la versione sostenendo che le ambasciate sarebbero state un bersaglio “probabile”, senza parlare di alcun attacco “imminente”.
Stando così le cose, verrebbe meno il motivo che, secondo lo stesso presidente, ha giustificato l’attacco a un alto militare della Repubblica Islamica in un Paese terzo. Ma lui si difende: “I media fake news e i loro partner democratici stanno lavorando sodo per accertare se il futuro attacco del terrorista Soleimani fosse ‘imminente’ o meno e se il mio team fosse d’accordo – ha twittato – La risposta è un forte sì a entrambe (le domande, ndr), ma non è rilevante a causa del suo orribile passato!”.
The Fake News Media and their Democrat Partners are working hard to determine whether or not the future attack by terrorist Soleimani was “imminent” or not, & was my team in agreement. The answer to both is a strong YES., but it doesn’t really matter because of his horrible past!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 13, 2020
A rafforzare le accuse nei confronti del tycoon sono arrivate le indiscrezioni diffuse da alcuni media americani secondo cui Trump autorizzò l’uccisione del generale iraniano sette mesi fa, imponendo però delle condizioni. Il presidente, si legge, aveva dato il via libera a procedere nel caso in cui la crescente aggressione iraniana si fosse tradotta nella morte di un americano. Trump aveva comunque ordinato di chiedere a lui stesso il via libera definitivo all’operazione speciale.
Iran approva legge che dichiara “terroriste” le truppe Usa e il Pentagono
Intanto, nella giornata di lunedì Ali Shirazi, il rappresentante della Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, nel corpo delle Guardie della Rivoluzione, ha dichiarato che “non abbiamo ancora completato la nostra vendetta nei confronti dei nemici per l’uccisione di Soleimani e dei suoi compagni”. E l’ultimo passo in questa direzione compiuto dal governo di Teheran è la firma da parte del presidente, Hassan Rohani, della legge approvata la scorsa settimana dal Parlamento che classifica come “terroriste” le forze armate Usa e il Pentagono. Una risposta non militare alla decisione di Washington di inserire le Guardie della Rivoluzione islamica nella lista delle “organizzazioni terroristiche” stilata dagli Stati Uniti.