L'inchiesta riguarda i decessi legati a diverse filiali italiane dell'Eternit e scaturita dopo la sentenza della Cassazione che aveva dichiarato prescritto il processo per disastro doloso negando i risarcimenti
Sono 392 le persone che si sono ammalate o sono morte, secondo la procura di Vercelli, per l’amianto lavorato nella filiale di Casale Monferrato della multinazionale Eternit. L’udienza preliminare per il filone vercellese è iniziata oggi con i parenti delle vittime che chiedono “giustizia”. L’imputato è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, chiamato a rispondere di omicidio volontario. “Speriamo che questa volta Schmidheiny non la faccia franca: vittime di amianto ce ne sono state e ce ne saranno ancora” dice Italo Ferrero, rappresentante dell’Afeva, Associazione familiari vittime dell’amianto, che questa mattina ha occupato la piazza di fronte al tribunale di Vercelli. Tanti come lui hanno indossato il tricolore con la scritta “Eternit giustizia”.
“Ho avuto quattro familiari morti di amianto, tra cui uno di 49 anni che non ha mai lavorato in fabbrica – racconta Ferrero -. L’unica sua ‘colpa’ è stata quella di aver respirato l’aria di Casale. Continueremo ad avere morti fino al 2040 solo per aver respirato la fibra killer: Schmidheiny deve pagare, perché era consapevole che stava uccidendo centinaia di persone”. Presente al presidio anche Valter Bossoni, leader della Cgil Vercelli: “Chiediamo giustizia in maniera definitiva – ha sottolineato -. La questione non interessa solo i lavoratori dell’Eternit, ma l’intera cittadinanza”. Legambiente chiederà di costituirsi parte civile: “Il problema non riguarda solo Casale, ma anche Vercelli – ha specificato Gian Piero Godio, vice presidente degli ambientalisti vercellesi -; la città ha avuto 50 casi di morti per mesotelioma, sia per questioni lavorative che ambientali”. La Procura di Vercelli aveva chiesto il rinvio a giudizio per l’imprenditore il 7 ottobre del 2019.
La richiesta di rinvio a giudizio era stata presentata dai pm vercellesi Francesco Alvino e Roberta Brera e dal pm torinese Gianfranco Colace, che si era occupato del caso Eternit insieme all’allora procuratore aggiunto (ora in pensione) Raffaele Guariniello. L’inchiesta riguarda i decessi legati a diverse filiali italiane dell’Eternit e scaturita dopo la sentenza della Cassazione che aveva dichiarato prescritto il processo per disastro doloso prima della richiesta di rinvio a giudizio negando così il risarcimento alle parti civili.
Il 23 maggio scorso a Torino Schmidheiny era stato condannato a 4 anni per la morte di ex lavoratori della filiale di Cavagnolo, nel Torinese per omicidio colposo. “Spero che questa sentenza – aveva commentano il pm Gianfranco Colace – segni un ritorno a una giurisprudenza più attenta alle vittime”. “La decisione del giudice – aveva osservato l’avvocato Astolfo Di Amato – va contro i principi sanciti dalla Suprema Corte, sulla base di risultati emersi dalla ricerca scientifica, proprio sulla questione del mesotelioma. Faremo appello”. Dal punto di vista del diritto la grande inchiesta Eternit bis presenta nelle valutazioni dei giudici differenze non di poco conto.
All’udienza preliminare di Torino il fascicolo era stato inviato a diversi tribunali italiani per competenza territoriale. Ma se nel capoluogo piemontese – per ordine del gup – Schmidheiny è stato processato per omicidio colposo, a Vercelli e a Napoli l’accusa è rimasta quella originale contestata dalla procura: omicidio doloso. La difesa, inoltre, lamenta che l’imprenditore è già stato giudicato (per disastro ambientale) in un processo chiuso dalla Cassazione nel 2014 con un proscioglimento per prescrizione.