Per un po’ la crisi Iran-Usa è sembrata una scena in un vecchio film western: due pistoleri ubriachi che si fronteggiavano nel saloon. Ma, per fortuna, sembra che si siano calmati: nessuna guerra è in vista, almeno a breve termine. Forse siamo stati fortunati, ma forse c’è una logica in questi eventi. È possibile che stiamo assistendo all’abbandono della “dottrina Carter“, dichiarata nel 1980 e che diceva che il controllo del Medio Oriente è di “interesse vitale” per gli Stati Uniti.

Nel 1980 gli Stati Uniti erano la potenza mondiale dominante: un dominio costruito dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale anche sulla base delle loro vaste risorse petrolifere nazionali. Ma la produzione di petrolio negli Stati Uniti aveva raggiunto il suo picco nel 1970 e stava calando. Niente petrolio, niente impero. Era necessario trovare un’altra fonte e quella più abbondante nel mondo era il Medio Oriente.

La lotta per il petrolio del Medio Oriente era già iniziata nel 1953, quando il primo ministro iraniano, Mohammad Mossadeq, aveva cercato una gestione indipendente delle risorse petrolifere nazionali ed era stato rovesciato da un colpo di stato orchestrato dagli Stati Uniti. Poi c’è stato il periodo in cui gli States hanno controllato l’Iran attraverso lo Shah e, successivamente, è arrivata la rivoluzione del 1978-79 che ha cacciato via lo Shah.

A quel punto, nel 1980, il presidente Carter dichiarò la sua “dottrina” – in realtà nient’altro che una descrizione della situazione strategica del momento. Gli Stati Uniti non potevano fare a meno del petrolio medio-orientale e non avrebbero permesso a nessun altro di controllarlo.

Sappiamo cosa è successo poi. La disastrosa guerra Iraq-Iran (1980 – 1988), l’invasione del Kuwait nel 1991, poi l’invasione dell’Iraq nel 2003. Era tutto sempre in accordo con la dottrina Carter: erano lotte per il controllo del Medio Oriente. Certo, l’Iran rimaneva indipendente; ma girava una frase che si poteva prendere come uno scherzo, ma anche come qualcosa di terribilmente serio: “i ragazzini vanno a Baghdad, ma i veri uomini vanno a Teheran”.

Si è parlato spesso di un’invasione dell’Iran come una cosa imminente, ma non c’è stata e forse non ci sarà mai, nonostante i vari proclami bellicosi da tutte e due le parti. Anzi, potrebbe darsi che tutto il teatrino degli ultimi giorni sia il preludio al graduale ritorno a casa delle truppe americane in Iraq.

C’è una logica in questi eventi. Mi immagino che qualcuno, da qualche parte a Washington, deve aver posto la domanda: “ma perché teniamo le nostre truppe in Iraq?” La risposta fino a non molto tempo fa era “per controllare i giacimenti petroliferi”. Ma le risorse petrolifere del Medio Oriente non sono più così allettanti come una volta. La produzione è statica ed è destinata a calare nei prossimi anni (forse avete sentito parlare della recente scoperta di “53 miliardi di barili” di petrolio in Iran. Sì, e hanno anche trovato una pentola piena d’oro alla fine dell’arcobaleno).

L’altra cosa che è cambiata e che gli Usa sono riusciti a invertire il declino della la loro produzione petrolifera con il petrolio di scisto, riuscendo a rendersi quasi indipendenti dalle importazioni. Se questo sia stato un buon affare in termini economici è molto discutibile, ma ha senso se è considerato un’arma di dominio strategico. A questo punto, gli Stati Uniti non hanno più veramente bisogno del petrolio dal Medio Oriente. Quindi, perché pagare per tenere lì le truppe? Sono solo utili a quegli imbelli europei che ancora hanno bisogno di importare petrolio.

In più, la tecnologia militare è cambiata: fra droni e missili, le truppe americane sono diventate più che altro dei bersagli per i vari fanatici locali. Quindi, riportiamole a casa. Ufficialmente, tutti negano che questa sia l’idea, ma si sa che i politici fanno di solito il contrario di quello che dicono. L’unica cosa certa è che, a differenza di quanto alcuni sembrano credere, le guerre non creano petrolio e che, prima o poi, dovremo abituarci a farne a meno.

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