L’imprenditore pugliese Luigi Dagostino, il re degli outlet ex socio di Tiziano Renzi, è stato condannato a Firenze a 1 anno, 11 mesi e 10 giorni nel processo con rito abbreviato che lo vedeva imputato per uso di fatture per operazioni inesistenti per oltre 5 milioni di euro da parte di società a lui riferibili. Dagostino era imputato anche per autoriciclaggio, accusa dalla quale il giudice per l’udienza preliminare Silvia Romeo lo ha assolto ‘perché il fatto non sussiste’. L’inchiesta che ha portato al processo riguarda l’acquisto di Villa Banti, a Firenze, da parte di una società di Ilaria Niccolai, compagna dell’imprenditore.

Il gup, non avendo riconosciuto l’accusa di autoriciclaggio, ha disposto anche il dissequestro della villa, che invece per la procura era stata comprata con denaro riciclato. Condannata in abbreviato a 10 mesi nello stesso procedimento anche l’ex moglie dell’imprenditore, Maria Emanuela Piccolo, accusata di reati tributari in qualità di amministratore di una delle società coinvolte nelle indagini. Assolti gli altri imputati che avevano chiesto l’abbreviato, Federico Ariano e Matteo Faggioli. Per Ilaria Niccolai, che non aveva chiesto riti alternativi, è stato disposto il rinvio a giudizio con prima udienza il 6 aprile 2020.

Villa Banti era stata acquistata all’asta nel 2016 da una società di Ilaria Niccolai. Per le indagini, coordinate dal pm Christine von Borries, il denaro usato per comprare la villa, 1,6 milioni di euro, sarebbe stato distratto dalla Nikila Invest srl, di cui Dagostino, difeso dall’avvocato Alessandro Traversi, era amministratore unico e Niccolai socia al 70%. I soldi sarebbero stati versati sui conti della Syntagma srl, società della Niccolai che si era aggiudicata la villa all’asta. Per aggirare la normativa antiriciclaggio sarebbe stata simulata una vendita preliminare di quote della Syntagma, mai andata però a buon fine.

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