Le differenze territoriali del mercato del lavoro si sono accentuate dopo la grande recessione. Non solo al Sud l’occupazione è più scarsa rispetto al Nord, ma è anche meno intensa in termini di ore lavorate. Ed è sempre meno stabile e sempre meno qualificata.
di Ivana Fellini e Emilio Reyneri (Fonte: lavoce.info)
Crescono le differenze
Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha ricordato di aver pubblicato nel 1972 un articolo in cui un grande meridionalista come Pasquale Saraceno prevedeva che “Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”. Purtroppo, mai previsione fu tanto errata. Soprattutto in questi ultimi anni, l’antica frattura territoriale del mercato del lavoro italiano si è semmai ancor più accentuata, anche ben al di là di quanto risulta dall’indicatore cui si fa più comunemente riferimento, il livello dell’occupazione.
La grande recessione ha infatti ampliato il divario tra Nord e Sud per quanto riguarda il livello dell’occupazione. Nelle regioni settentrionali il tasso di occupazione da 20 a 64 anni nel 2018 è quasi tornato al livello del 2008 per gli uomini ed è cresciuto di quasi 3 punti percentuali per le donne, cosicché il tasso totale è aumentato di oltre 1 punto. Nelle regioni meridionali, invece, il tasso di occupazione degli uomini è crollato di ben 5,5 punti percentuali e quello delle donne è cresciuto solo di 1,4 punti, il che ha portato il tasso totale a scendere di quasi 2 punti percentuali. Ormai il divario nel livello di occupazione ha raggiunto nel complesso i 24 punti percentuali, sfiorando i 20 punti per gli uomini e addirittura i 29 punti per le donne. L’Italia ha quindi sempre più accentuato il suo tradizionale record europeo di differenze territoriali nel mercato del lavoro.
Tabella 1 – Livello, densità e stabilità dell’occupazione prima e dopo la Grande recessione
Fonte: Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro
Intensità e stabilità dell’occupazione
Ma il divario è ancora più ampio ed è salito di più se si considerano due caratteristiche importanti dell’occupazione: l’intensità e la stabilità. Nel Mezzogiorno è più elevata ed è cresciuta di più la presenza di occupati a tempo parziale involontario, cui le lavoratrici e i lavoratori sono costretti per non aver trovato un rapporto a tempo pieno. Dal 2008 al 2018 la percentuale di part time involontario è aumentata di quasi 7 punti percentuali nelle regioni meridionali contro neppure 6 punti in quelle settentrionali, con una differenza particolarmente rilevante per gli uomini. Il divario nella diffusione del part time involontario da 3 punti percentuali è cresciuto a 4 punti e quasi un quarto delle poche donne occupate nel Mezzogiorno (appena il 35 per cento) lavora a tempo parziale involontario, contro poco più del 17 per cento delle molto più occupate donne delle regioni settentrionali (il 64 per cento, quasi in linea con la media europea).
Nel Mezzogiorno, alla sempre minore intensità dell’occupazione in termini di ore lavorate (che ovviamente implica retribuzioni inferiori percepite dai lavoratori) si accompagna una sempre più elevata instabilità. È vero che la percentuale di lavoratori dipendenti a tempo determinato dal 2008 al 2018 cresce in egual misura nel Nord e nel Sud (dove però è più alta del 50 per cento), ma nel Nord questa posizione prelude più spesso a un’assunzione a tempo indeterminato, sia pure nell’arco di qualche anno. Infatti, se la percentuale di dipendenti a tempo determinato o collaboratori che si trovano in tale posizione da almeno 5 anni nelle regioni meridionali è cresciuta di 0,5 punti percentuali, in quelle settentrionali è diminuita di oltre 2 punti grazie alle crescenti opportunità di stabilizzazione. Ormai la percentuale di lavoratori instabili di lungo periodo nel Mezzogiorno è il doppio di quella del Nord: quasi il 25 per cento contro il 12,6 per cento (sul totale dei dipendenti il 5,3 per cento contro l’1,9 per cento), mentre prima della grande recessione la differenza superava di poco i 9 punti percentuali.
Qualificazione professionale a Nord e a Sud
Dal 1995 al 2015 in quasi tutti i paesi sviluppati la composizione dell’occupazione per livelli di qualificazione professionale tende a una polarizzazione asimmetrica, perché la fascia altamente qualificata (dirigenti, professioni intellettuali e tecniche) cresce molto più di quella poco qualificata (addetti alla vendita e ai servizi alla persona, operai semi-qualificati e comuni), mentre si riduce la fascia intermedia (impiegati esecutivi e operai specializzati). L’Italia è una delle rare eccezioni, poiché fascia alta e fascia bassa crescono quasi allo stesso modo.
Dal 2013 al 2018, con la ripresa dell’occupazione, in Italia la fascia bassa cresce addirittura più di quella alta, anche se di poco: +0,9 punti percentuali contro +0,8 punti, mentre la fascia intermedia perde 1,7 punti. Ma questo andamento nasconde una profonda differenza territoriale.
Figura 1
Fonte: Istat, Rilevazione continua sulle forze di lavoro
Infatti, nelle regioni settentrionali la polarizzazione asimmetrica assume i caratteri propri di quella dei paesi più sviluppati: il peso delle occupazioni altamente qualificate è cresciuto di 1,6 punti percentuali (+372mila occupati), mentre l’occupazione poco qualificata è aumentata di soli 0,3 punti (+181mila occupati) e la fascia intermedia si è ridotta di 1,9 punti (-32mila occupati). Nelle regioni meridionali, al contrario, si è ancor più rafforzato il processo di dequalificazione della struttura occupazionale: il peso degli occupati in posizioni poco qualificate è aumentato di ben 2,6 punti percentuali (+252mila occupati), mentre quello delle posizioni molto qualificate addirittura è sceso di 1,6 punti (- 12 mila occupati), persino più del peso delle occupazioni intermedie (-1 punto percentuale, pur con un saldo positivo di 28 mila occupati). Se poi si guarda a quanto accaduto all’occupazione dei giovani da 15 a 34 anni il divario nelle variazioni della composizione per livelli di qualificazione risulta enorme. Dal 2013 al 2018 nel Nord la fascia altamente qualificata è cresciuta di 2,3 punti percentuali e quella poco qualificata di soli 1,5 punti a scapito di una riduzione di 3,8 punti percentuali della fascia intermedia. Per contro, nelle regioni meridionali è cresciuta di quasi 3,8 punti percentuali la fascia delle occupazioni poco qualificate, mentre si sono ridotte non solo la fascia intermedia (-2,9 punti), ma anche quella delle occupazioni altamente qualificate (-0,8 punti percentuali). La ripresa non ha creato nessun nuovo posto di lavoro molto qualificato per i giovani istruiti meridionali, che infatti emigrano.
Quindi, nel Sud l’occupazione non è solo sempre più scarsa che nel Nord, ma anche sempre meno intensa in termini di ore lavorate, sempre meno stabile e sempre meno qualificata. Il divario sta diventando un abisso.