La comunità scientifica discute dopo il verdetto che ha confermato come, nel caso di Roberto Romeo, il telefonino abbia avuto un ruolo causale nell'isorgenza di un neurinoma. Orecchia (Ieo): "Sentenza controversa, evidenze scientifiche deboli e insufficienti". Il ricercatore dell'Istituto superiore di Sanità: "Non è dimostato che i campi magnetici siano cancerogeni". Il presidente del comitato scientifico dell'Isde: "Si continua a ignorare chi da anni pubblicano dati sul nesso"
Spacca la comunità scientifica la sentenza con la quale la Corte di appello di Torino ha dato ragione all’ex dipendente Telecom, Roberto Romeo, e che conferma il verdetto di primo grado, con il quale nel 2017 il giudice Luca Fadda aveva già condannato l’Inail a riconoscere una rendita da malattia professionale all’ex tecnico. Parliamo di un neurinoma acustico, tumore cerebrale benigno, raro e che cresce molto lentamente. C’è chi ritiene, nonostante il verdetto, che sia “impossibile, al momento, dimostrare il nesso eziologico” tra la prolungata esposizione alle radiofrequenze emesse da telefono cellulare e il tumore al nervo acustico dell’orecchio destro che ha colpito Romeo. La pensano così, ad esempio, il professore Roberto Orecchia, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia di Milano e Alessandro Polichetti, primo ricercatore del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale dell’Istituto superiore della Sanità. Ma c’è anche chi non è affatto stupito dalla sentenza, come Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico dell’Isde Medici per l’ambiente e che, invece, ritiene che finora si sia dato risalto solo a studi “troppo rassicuranti”. Che è un po’ la tesi dei giudici. Ilfattoquotidiano.it ha interpellato questi studiosi, anche perché il dibattito innescato dal verdetto ripropone il tema al centro della polemica scoppiata la scorsa estate, dopo la pubblicazione del rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, che voleva essere una sintesi delle evidenze scientifiche sul nesso tra radiazioni a radiofrequenze e tumori. E che si è trasformato nel documento della discordia.
LA SENTENZA E LA COMUNITÀ SCIENTIFICA – Tanto che, se i consulenti Inail, al fine di escludere il nesso causale, avevano richiamato proprio quel documento, i consulenti d’ufficio citati a più riprese dai giudici hanno fatto presente che il rapporto in questione è stato criticato dall’associazione Medici per l’Ambiente. I giudici hanno ricordato che “la letteratura scientifica è divisa in merito alle conseguenze nocive dell’uso dei telefoni cellulari”. Da una parte l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), nel 2011, ha reso nota una valutazione dell’esposizione a campi elettromagnetici ad alta frequenza, definendoli ‘solo’ come “cancerogeni possibili per l’uomo” (categoria 2B); dall’altra gli studi pubblicati successivamente, in particolare tre metanalisi pubblicate nel 2017 in cui viene dimostrato un aumento del rischio dallo stesso lato di utilizzo del telefonino per chi lo utilizza per almeno dieci anni, ma anche quello del 2013 pubblicato da un gruppo di scienziati svedesi coordinati dal professor Hardell e lo studio Interphone. Il primo giunge alla conclusione che un nesso c’è tra l’uso prolungato dei cellulari e il rischio di sviluppare la malattia tumorale, mentre le conclusioni del secondo non sono chiare, nonostante si individui un rischio del 40% superiore per i glioma (famiglia di tumori cui appartiene anche quello che ha colpito Romeo) negli individui che abbiano usato il cellulare molto a lungo e per molto tempo. “Gli unici studiosi che con fermezza escludono qualsiasi nesso causale tra utilizzo di cellulari e tumori encefalici – scrivono i giudici – sono quelli dei professori Alexander Ahlbom e Mike Repacholi, ma detti autori si trovano in posizione di conflitto di interessi, essendo il primo consulente di gestori di telefonia cellulare e il secondo di industrie elettriche”.
LA REPLICA DELL’ISS – Secondo la classificazione dello IARC del 2011, le radiofrequenze sono dunque “possibilmente cancerogene per l’uomo”, valutazione confermata nella monografia del 2013 sulle radiazioni non ionizzanti. Si tratta, in effetti, della categoria più debole tra quelle utilizzate dall’Agenzia per classificare agenti che presentino evidenze positive di cancerogenicità (a fronte della categoria 2A, ‘probabilmente cancerogeno per l’uomo’ e della categoria 1, ‘cancerogeno per l’uomo’ nella quale rientrano anche radiazioni ionizzati, raggi x e sigarette). Secondo Alessandro Polichetti dell’Iss, gli studi finora a disposizione “non sono sufficienti a emettere una sentenza del genere” che parla di ‘elevata probabilità logica’. “Occorrerebbero due condizioni – aggiunge – prima, che sia dimostrata l’efficacia cancerogena dei campi elettromagnetici in generale e, poi, che l’esposizione sia stata tanto intensa da arrivare a questa elevata probabilità”. Nel caso specifico, secondo Polichetti, mancherebbe la prima condizione: “Anche se valutassimo che c’è stata una prolungata esposizione, non avremmo comunque la dimostrazione (ma neppure forti sospetti) che i campi magnetici siano cancerogeni. Da qui la classificazione dell’Airc”. Nella sentenza vengono anche citate le critiche di Medici per l’Ambiente al recente rapporto Istisan 19/11 dell’Iss. “Quel documento ha suscitato molto clamore – spiega il ricercatore – ma era proprio un sintesi delle evidenze scientifiche sul tema che, lo ribadisco, al momento non si spingono oltre una possibilità”.
LE CRITICHE DELL’ISDE – Di fatto, ad aprile 2019 un Advisory Group della IARC, composto da 29 ricercatori provenienti da 19 Paesi, ha inserito le radiofrequenze tra gli agenti per cui è ritenuta prioritaria una rivalutazione di cancerogenicità da parte della IARC nel periodo 2020-2024. Nel caso di Romeo, i consulenti di ufficio hanno inoltre fatto riferimento anche ai risultati di recenti studi sugli animali condotti da NTP (National Toxicology Program degli Stati Uniti) e dall’Istituto Ramazzini che mostrano eccessi di tumori dello stesso tipo istologico del neurinoma acustico (anche se in altra sede). Si tratta di studi di cui ci parla anche Agostino Di Ciaula, presidente del Comitato Scientifico dell’Isde. Di Ciaula non si stupisce davanti alla sentenza della Corte d’Appello di Torino, anche se ammette che si tratta della prima volta che “i giudici riescono a portare i risultati di studi scientifici meno rassicuranti sul piano della giustizia, dato che si continuano a ignorare scienziati che da anni pubblicano dati sul nesso tra cellulari e tumori”, spiega a Ilfattoquotidiano.it. “Il risultato è il rapporto ‘rassicurante’ dell’Iss – continua – che ha segnalato l’incertezza dei dati sulle conseguenze che un uso molto intenso può portare, ma nelle cui conclusioni non compaiono parole come precauzione, cautela e responsabilità”.
IEO: “SENTENZA CONTROVERSA” – Anche secondo il professore Roberto Orecchia, direttore scientifico dell’Istituto europeo di oncologia di Milano si tratta di “una sentenza controversa”. Al centro della discussione le radiofrequenze e le onde elettromagnetiche di bassa intensità “che – spiega – al contrario delle radiazioni, non rompono il dna, ma in determinate circostanze determinerebbero un riscaldamento prolungato delle strutture dell’orecchio, creando attraverso il calore un’alterazione a livello cellulare”. Una correlazione su cui, secondo Orecchia, le evidenze scientifiche non sono chiare, ma deboli e discutibili. Il professore invita, poi, a riflettere, sul fatto che oggi “i telefoni non sono più gli stessi degli anni Novanta, si registrano meno emissioni di radiofrequenza e, grazie agli auricolari, possiamo ridurne la penetrazione”. “Riguardo agli studi condotti sui ratti (come quelli di NTP e Ramazzini, ndr) – prosegue Orecchia – bisogna chiarire che, pur essendo il modello più utilizzato in ricerca, non tutto ciò che avviene su questi animali è detto che avvenga sugli uomini. Anche perché spesso si conducono ricerche, creando condizioni (in questo caso di esposizione alle radiofrequenze) che non sono quelle normali. Sul tema, la Corte ha fatto sua la conclusione a cui sono arrivati i consulenti: “Il criterio razionale per condurre studi di cancerogenicità in modelli animali si basa su dati sperimentali che mostrano che ogni agente noto come cancerogeno nell’uomo, quando adeguatamente testato, ha mostrato di essere cancerogeno negli animali”. E, riguardo allo studio dell’Istituto Ramazzini, i giudici spiegano che “l’esposizione dei ratti è avvenuta alla dose massima testata”, ma il tasso di assorbimento specifico conseguente all’esposizione “era di poco superiore al limite massimo per irradiazione al corpo intero per l’uomo”.