La mobilitazione indetta dal 15 al 20 gennaio – presidi, volantinaggi e sit-in sotto prefetture e regioni – dai comitati di scopo Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, insieme alla Rete dei Numeri Pari, Sud Lab e soggetti che si sono connessi nei territori, contesta il percorso che le regioni Emilia Romagna, Veneto e Lombardia stanno portando avanti assieme al governo. Cosa succederebbe se l’autonomia differenziata andasse in porto? Se, cioè, le principali materie previste nel terzo comma dell’art. 117 della Costituzione (sanità, sicurezza sul lavoro, beni culturali, infrastrutture, ricerca, tra le altre), attualmente materie concorrenti, passassero interamente alla legislazione regionale, come prevedono le bozze di intesa di Veneto, Lombardia ed Emilia? Cosa accadrebbe, inoltre, se istruzione e ambiente, attualmente a legislazione esclusiva dello Stato, facessero altrettanto, come ancora quelle intese chiedono, in virtù dell’art. 116 riformato nel 2001? Potenzialmente avremmo 20 sistemi scolastici e sanitari diversi, 20 normative differenti di tutela del lavoro e dell’ambiente. In un Paese in cui – già oggi – ci si ammala di cancro più al Nord, ma si muore più al Sud.
Il progetto è di una gravità senza precedenti: in un colpo solo vengono annullati i principi di uguaglianza e solidarietà della Costituzione repubblicana, fondamenta della nostra democrazia; il contratto collettivo nazionale, con l’obbligo di garanzie di diritti e doveri per tutte/i, in nome della dignità del lavoro; i diritti universali (salute, istruzione) esigibili ugualmente, indipendentemente da dove si vive; il nostro stesso assetto istituzionale. Si afferma invece una cittadinanza basata sulla residenza: sarà del tutto normale che un calabrese valga meno di un emiliano, e che ovunque un ricco valga più di un povero; le diseguaglianze, invece che essere superate, saranno legittimate. Si liquida tutto ciò che è “pubblico”, finalizzato cioè all’interesse di tutti/e: istruzione, sanità, ambiente, infrastrutture, sicurezza sul lavoro, principi e diritti sociali previsti nella I^ parte della Costituzione che di fatto vengono annullati. Come l’unità della Repubblica in quanto garanzia di identica possibilità di accesso a quei diritti e alla rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona: tutto scalzato dal famelico egoismo di chi pensa che una maggiore ricchezza debba essere ricompensata con maggiori diritti. Dal “prima gli italiani” si passerà al prima gli emiliani, i lombardi, i veneti e così via, dal momento che solo due regioni non hanno ancora avviato le procedure per rivendicare la rapace richiesta. Un sistema di tante piccole signorie: ogni Regione fa da sé, con i propri fondi, trattenendo la maggior parte del proprio gettito fiscale.
Ma se questo porterà subito a far sprofondare le Regioni del sud (escluse dalla perequazione e colpite dalla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato), colpirà anche i cittadini del nord, attraverso la rimessa in causa dei contratti nazionali, dei servizi, dell’accesso agli stessi diritti; e l’ampliamento delle sperequazioni tra zona e zona nella stessa regione. Occorre rifiutare l’approccio rampante ed egoistico di chi crede che le politiche più efficaci per avvicinare l’Italia all’Europa siano quelle che aumentano la distanza tra Milano e Napoli, tra aree avanzate e arretrate del paese. Bisogna smascherare un anno di pratiche e incontri segreti e secretati, che non hanno lasciato nessuna possibilità ai cittadini di essere informati su quanto si stava decidendo altrove – lontano da loro – sul proprio destino e su ben 23 materie che toccano quotidianamente la loro vita.
Ricorre spesso in questi giorni – in particolare tra gli esponenti del nuovo governo e in vista delle elezioni in ER (il candidato Bonaccini, Pd, è uno dei presidenti di regione che hanno iniziato il percorso) – il richiamo ad un’autonomia “solidale”, “ragionevole”. Ma anche quella emiliana – al di là del minor numero di materie richieste– è un’istanza secessionistica: il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001, prevede sì la possibilità di ‘condizioni particolari di autonomia’, ma sempre nel rispetto del principio, articolo 5, di una ‘Repubblica una e indivisibile’, che obbliga all’unitarietà e indivisibilità dei diritti universali delle persone; tanto dovrebbe bastare a far ritenere irricevibili qualunque proposta di autonomia differenziata. L’imbarazzante sintonia con la quale l’attuale governo sta rispondendo a questo progetto eversivo ha portato ad abbandonare l’idea di subordinare la partenza dell’autonomia alla determinazione dei Livelli Essenziali di Prestazione: la legge quadro proposta dal ministro Boccia promette di eliminare questo ostacolo sul trionfale percorso del regionalismo differenziato. Durante i presìdi, si chiederà il ritiro di questa proposta. Che non solo non garantisce che su tutto il territorio nazionale siano assicurati livelli adeguati delle prestazioni e dei servizi per tutti i cittadini; che materie essenziali per la tenuta generale dell’unità della Repubblica vengano escluse dal processo; ma prevede che le Regioni possano aumentare la tassazione per i cittadini e avviare processi di privatizzazione dei servizi oggi pubblici andando ad intaccare i principi dell’art. 3 della Costituzione; non mette al riparo dalla frantumazione della legislazione nazionale di materie essenziali, tra le quali i contratti nazionali di lavoro.
I Comitati Per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, la Rete dei Numeri pari invitano tutte/i a partecipare alla mobilitazione, ad informarsi ed informare su quanto – in un silenzio strabiliante – sta per accadere. Qui il calendario delle iniziative.