I carabinieri questa mattina hanno eseguito due fermi e due arresti per associazione mafiosa e per estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le indagini hanno documentato i nuovi assetti e le dinamiche criminali della famiglia mafiosa all'indomani dell’Operazione dei Carabinieri Cupola 2.0
Sgominato il clan mafioso di Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo. I carabinieri del comando provinciale, sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, hanno eseguito questa mattina due fermi e due arresti per associazione mafiosa: tra le persone colpite dal provvedimento restrittivo Salvatore Tumminia, da poco libero dopo la condanna sempre per associazione mafiosa a seguito dell’operazione “Perseo”, e Giuseppe Benigno, catturato in una cascina a Piubega (Mantova) dove si era rifugiato dopo che due sicari, il 2 dicembre, a Belmonte, avevano cercato di freddarlo sparandogli nove colpi d’arma da fuoco, di cui solo due lo avevano colpito senza ucciderlo. I militari, inoltre, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti di Stefano Casella, 41 anni, e Antonio Tumminia, 50 anni. Gli arresti arrivano dopo i due omicidi nel paese palermitano in meno di un anno, da quando l’ex boss Bisconti è stato arrestato e ha deciso di collaborare con la giustizia: quello di Vincenzo Greco, avvenuto il 19 gennaio dello scorso anno, e del commercialista Antonio Di Liberto, ucciso l’8 maggio.
Le indagini, iniziate a Palermo, hanno documentato i nuovi assetti e le dinamiche criminali della famiglia mafiosa all’indomani dell’Operazione dei Carabinieri “Cupola 2.0” del 4 dicembre 2018, durante la quale erano stati arrestati i vertici del mandamento di Misilmeri-Belmonte Mezzagno. A distanza di mesi Salvatore Tumminia era ritenuto il nuovo capo mandamento sostituendo al vertice Salvatore Sciarabba e Filippo Bisconti, entrambi arrestati nel dicembre 2018: per il mandamento, secondo gli investigatori, gestiva il settore delle estorsioni e considerato il punto di riferimento per risolvere qualsiasi problema. Gli inquirenti hanno svelato anche come Benigno operava in contatto con i vertici del mandamento e della famiglia mafiosa facente capo proprio a Tumminia, “collaborando con l’organizzazione mafiose al fine di portare a termine le estorsioni, coadiuvando i sodali nel controllo del territorio, agevolando i contatti e gli incontri con gli appartenenti alle varie famiglie mafiose e inserendosi nella risoluzione delle problematiche interne all’associazione”.