Eletti in partitini e movimenti che rappresentano in consiglio, poi confluiti nei partiti di Salvini e Meloni. Ma non ufficialmente, perché la ratifica del passaggio comporta la rinuncia ad alcuni benefit, come collaboratori e presidenze di commissione. I casi al momento sono già tre
Si “scoprono” sovranisti ma non mollano incarichi e poltrone. E così si trovano, indirettamente, perfino a collaborare con Nicola Zingaretti. È lo strano fenomeno che si sta verificando in questi giorni nel centrodestra in Regione Lazio, dove i consiglieri regionali in fuga da Forza Italia e dalle liste a destra del Pd, stanno via via ingrossando le fila di Lega e Fratelli d’Italia. I due partiti, all’inizio del secondo mandato dell’attuale segretario nazionale del Pd, avevano rifiutato con decisione il patto d’aula proposto dal governatore, afflitto dalla cosiddetta “anatra zoppa” che lo costringe a un governo di minoranza e a continui accordi con le forze teoricamente d’opposizione. Eppure, per il momento, le cose stanno diversamente, fra anomalie e situazioni “da sanare”.
Fra novembre e dicembre, ad esempio, sono confluiti in Fratelli d’Italia ben tre consiglieri: Massimiliano Maselli, ex capogruppo di Udc-Noi con l’Italia, Sergio Pirozzi, capogruppo della sua Lista Pirozzi, e Antonello Aurigemma, eletto con Forza Italia poi divenuto capogruppo del Misto. Un passaggio effettivo che però fin qui è stato formalizzato soltanto da Maselli, che ora risulta l’unico ad aver rinunciato al proprio ruolo di capogruppo. Il risultato è che all’ultima conferenza dei capigruppo, Fratelli d’Italia aveva ben tre rappresentanti, ovvero Pirozzi, Aurigemma e Fabrizio Ghera, quest’ultimo l’unico davvero “ufficiale”. “Devo parlare bene con i dirigenti regionali del partito – ammette Pirozzi, interpellato da Ilfattoquotidiano.it – per decidere tutte le modalità. Ovviamente formalizzerò il prima possibile. Al di là della natura civica della mia candidatura, il mondo dal quale provengo è quello ma il mio impegno non cambia”. Cambiano invece le questioni “pratiche”, come giustamente sottolineato da Pirozzi: pur essendo stati aboliti, nel 2013, gli incentivi economici, il capogruppo ha comunque in dotazione un proprio staff e un ufficio di riferimento, che ora andrà “integrato” con quello già costituito di Fdi. “Io ho abbandonato subito il mio ruolo di capogruppo, spero che i colleghi mi seguano presto”, dice Maselli, che però ha avuto vita più facile: formalmente Noi con l’Italia e Fratelli d’Italia si sono fusi (anche se il primo non esiste più) e, per regolamento, lo staff è confluito interamente nel gruppo dei meloniani.
C’è poi il tema delle presidenze di commissione, che i partiti di Matteo Salvini e Giorgia Meloni avevano rifiutato a inizio 2018 per non essere tacciati di “collaborazionismo” con Zingaretti. Proprio Maselli, al momento, risulta ancora presidente della commissione Sviluppo Economico, “ma entro fine gennaio darò le mie dimissioni”, assicura lui al Fatto.it; mentre Pirozzi, per gli stessi motivi già esposti, da ex sindaco di Amatrice non ha ancora rinunciato al suo ruolo nella commissione sulla Ricostruzione, incarico che però contempla anche erosione costiera, emergenze e grandi rischi e protezione civile. Ai neo “fratelli”, si aggiunge anche Pasquale Ciacciarelli, ex Forza Italia. In missione in Scozia proprio nei giorni in cui, a dicembre 2018, Zingaretti incassava la fiducia dell’aula sul filo dei voti, il neo leghista non si è ancora dimesso dal suo ruolo di presidente della commissione Cultura, “ma il passaggio formale non è ancora avvenuto”, precisano dal gruppo del Carroccio laziale. Insomma: che fretta c’è? Il motivo del tentennamento, oltre all’importanza delle commissioni regionali e alla loro influenza sui lavori d’Aula, è da ricercarsi anche qui nella presenza dei componenti dello staff, che in qualche modo andranno ricollocati.