Andrea Franceschi era stato condannato nell'ambito dell'inchiesta su un appalto per le gestione dei rifiuti nel Comune veneto. Poi è arrivata la prescrizione, ma i giudici scrivono: la sentenza di condanna è “adeguatamente argomentata con considerazioni scevre da illogicità e corrette in diritto”
Se non emerge una “prova evidente” di innocenza è giusto applicare la prescrizione. La corte di Cassazione motiva così il colpo di spugna sopra una vicenda di gestione politico-amministrativa che in Veneto nel 2013 aveva fatto molto scalpore. Anche perché ambientata a Cortina d’Ampezzo, con la giunta che aveva a capo il sindaco Andrea Franceschi. La Procura di Belluno accese un faro su diverse vicende. Portò a giudizio due episodi. Un appalto per le gestione dei rifiuti che, secondo i pm, era stato cucito su misura dell’imprenditore che poi lo aveva vinto. E poi le presunte pressioni sul capo dei vigili urbani per ridurre il numero delle multe inflitte a cittadini e turisti. La prescrizione ha sanato il primo capitolo, non il secondo, per il quale sarà necessario un nuovo processo, con conseguente rimodulazione della pena.
“Non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell’innocenza degli imputati”, ha scritto la Cassazione nella motivazione della sentenza che riguarda, oltre a Franceschi, anche il vicesindaco Enrico Pompanin, l’assessore Stefano Verocai e l’imprenditore Teodoro Sartori. Il caso fece scalpore perché il sindaco fu arrestato ai domiciliari e raggiunto da un divieto di far ritorno a Cortina, che di fatto lo costrinse a vivere in un comune vicino. Dopo qualche anno, per Marsilio Editore, scrisse il libro: “Un sindaco in esilio. La mia storia a Cortina d’Ampezzo”.
L’inchiesta riguardava un appalto per i rifiuti che si riteneva “pilotato”, con ipotesi di reato che andavano (a diverso titolo) dalla turbativa d’asta all’abuso d’ufficio alla tentata violenza privata. In primo grado c’era stata la condanna per la turbativa d’asta (ora finita in prescrizione) e per le pressioni sul comandante dei vigili, a causa dell’uso di etilometro e autovelox (è questa l’accusa residua che dovrà essere riconsiderata in appello). La condanna per Franceschi era stata di 3 anni e 6 mesi, senza il riconoscimento delle attenuanti generiche. In appello era però stata ridotta a 9 mesi di reclusione e 200 euro di multa. L’allora assessore all’edilizia Stefano Verocai fu condannato in primo grado a un anno e 4 mesi, pena poi scesa a 4 mesi. Otto mesi erano stati inflitti in secondo grado a Pompanin e all’imprenditore Sartori, che in Tribunale a Belluno erano stati condannati rispettivamente a 2 anni e 8 mesi e 2 anni e sei mesi. Con la prescrizione, la Cassazione ha sanato la posizione degli ultimi due e solo per una parte dell’ex sindaco.
Ma non si è trattata di un’assoluzione. Infatti, i giudici hanno scritto che la sentenza di condanna dei giudici veneziani è “adeguatamente argomentata con considerazioni scevre da illogicità e corrette in diritto”. Invece, l’invito al comandante dei vigili a non eccedere con le multe in campagna elettorale, “non è consentito quando abbia un contenuto palesemente illegittimo, com’è accaduto nel caso di specie”. La minaccia sarebbe consistita nell’adombrare che “se non si fosse sottomesso all’ordine, avrebbe subito l’ingiusto male del mancato rinnovo dell’incarico”, una forma di ritorsione “essendo evidente la coartazione dolosamente esercitata sulla sua volontà”.
L’avvocato Maurizio Paniz, intervistato dal Corriere del Veneto, ha dichiarato: “Dire che non ci sono elementi di evidente innocenza non equivale affatto a una prova di colpevolezza”.