Alla fine il premier polacco Mateusz Morawiecki ha avuto ragione. All’ultima Conferenza sul clima (Cop 25) che si è svolta a Madrid ha puntato i piedi, portando Varsavia a non sottoscrivere l’accordo sul Green New Deal e l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Ribadendo che la Polonia, ancora troppo dipendente dal carbone, avrebbe dovuto godere di una quota del nuovo fondo ed essere così sostenuta nella sua complessa transizione. E ora il premier ottiene quanto chiesto e a Varsavia dovrebbe andare la fetta più grossa del Fondo per la transizione giusta (Just transition fund), che nei prossimi dieci anni si stima innescherà investimenti pubblici e privati fino a mille miliardi di euro per la transizione verso la neutralità ambientale. Si tratta di una parte importante del programma di finanziamento del Green Deal per i prossimi 5 anni, presentato nei giorni scorsi dalla Commissione europea al Parlamento, nell’ambito del bilancio pluriennale di 7 anni (2021-27). Un fondo da 7,5 miliardi di euro, due dei quali (il massimo consentito per uno Stato membro) dovrebbero andare proprio alla Polonia. Insieme ad altri strumenti previsti dal Green deal europeo, queste risorse potranno mobilitare in tutto il Paese 27,3 miliardi di euro di investimenti nei sette anni a venire. Comprensibile la soddisfazione espressa su Twitter dal ministro polacco per il clima Michal Kurtyka: “Una conferma positiva” ha scritto. Ma il piano proposto dalla Commissione per convincere i Paesi reticenti, prima fra tutti proprio la Polonia, dovrà ora essere discusso e approvato da Parlamento europeo. E resta il nodo degli impegni non ancora presi.
IL NODO DEGLI IMPEGNI – Il meccanismo illustrato dalla Commissione, infatti, prevede che al finanziamento Ue per ogni progetto, corrispondano investimenti sia da parte della regione interessata sia da parte dello Stato. La Cop 25, invece, si è chiusa con la concessione alla Polonia di altro tempo (fino a giugno 2020) per decidere sulla sua adesione alla strategia che fissa al 2050 il raggiungimento delle zero emissioni. La stessa presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha spiegato che si trattava di una strada obbligata, mentre il presidente francese Emmanuel Macron si è affrettato a sottolineare che l’accesso al Fondo per la transizione giusta (Just transition fund) avrebbe dovuto essere subordinato alla sottoscrizione degli obiettivi climatici dell’Unione europea. Come dire: la Polonia qualcosa sul piatto dovrà pure lasciarlo. Una questione che resta cruciale, a maggior ragione ora. E nonostante l’obiettiva complessità di una transizione nel Paese responsabile, da solo, del 10,3% delle emissioni di CO2 dell’Europa (dati Eurostat). Ma il vero problema è legato proprio al nodo della dipendenza dal carbone, perché le riserve sono ancora molte, il Paese non produce nucleare (tra gli obiettivi di Jarosław Kaczyński, eminenza grigia del partito di destra ‘Diritto e Giustizia’, uscito vincitore dalle elezioni di ottobre 2019) e le rinnovabili sono ben lungi dall’essere decollate.
DECARBONIZZAZIONE A METÀ SECOLO, TUTTI I NO DELLA POLONIA – Ecco perché la Polonia ha tenuto duro fino all’ultimo. A marzo 2019, a Bruxelles, nel corso del Consiglio europeo aveva bloccato la decarbonizzazione, insieme a Repubblica Ceca, Ungheria e soprattutto con l’appoggio della Germania, mentre l’Italia non aveva preso posizione. Due mesi dopo, a maggio, Varsavia si è guardata bene dal fare parte del blocco (formato da Francia, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Danimarca, Spagna, Portogallo e Lussemburgo) che ha messo nero su bianco una proposta informale di accordo per arrivare all’obiettivo zero emissioni. Poi qualcosa è cambiato a giugno. Se fino a quel momento alcune grandi potenze non avevano preso posizioni nette, nascondendosi dietro il veto dei Paesi dell’Est, a pochi giorni dal Consiglio europeo di Bruxelles c’è stata la svolta. Il fronte dei Paesi favorevoli alla decarbonizzazione a metà secolo si è allargato a Germania, Italia, Regno Unito, Lituania, Slovacchia, Austria, Grecia, Malta e Cipro. In tutto 18 Paesi. Anche in quella occasione, però, la Polonia è rimasta irremovibile insieme, tra gli altri, a Ungheria e Repubblica Ceca.
ALLA FINE POLEXIT FU – E ancora, mentre altri Paesi aderivano nei mesi scorsi, Varsavia ha mantenuto la sua posizione fino alla Cop 25 di Madrid. Anche quando Repubblica Ceca e Ungheria hanno ceduto, aderendo all’accordo europeo sul Green Deal, pur con le loro riserve. Il premier polacco Mateusz Morawiecki, come riportato dal quotidiano ‘The Guardian’, a un certo punto della discussione ha persino proposto di rinviare l’obiettivo della completa decarbonizzazione al 2070. Ufficialmente la Polonia aspettava proprio di leggere la proposta della Commissione Ue sul nuovo fondo. Ma se l’appoggio economico dell’Ue è stato alla base della conversione verso l’obiettivo zero emissioni di diversi Paesi, come è avvenuto per l’ex scettica Bulgaria, nel caso della Polonia è meglio non dare nulla per scontato, dato che il governo di Varsavia ha stimato in circa 500 miliardi di euro i costi della transizione.
LA POLONIA E IL CARBONE – Cifre da capogiro. Ma parliamo del Paese che, secondo i dati dell’edizione 2019 del BP Statistical Review od World Energy, nel 2018 ha prodotto quasi 68 milioni di tonnellate (erano 71 nel 2017) di carbone, più della Germania (52,8) che la supera, invece, in quanto a consumo. Siamo a 72 milioni di tonnellate (in aumento dell’1,5% rispetto al 2017) per Varsavia e a quasi 95 milioni di tonnellate per Berlino che, però, a differenza della Polonia, nel 2018 ha ridotto il consumo del 7,2%. In quanto a emissioni di CO2, in Europa la Polonia è terza (dopo Germania e Regno Unito) con il 10,3%. La centrale elettrica a carbone di Bełchatów, in Polonia, è la più grande di tutta l’Europa. E anche quella più inquinante, perché vi si brucia lignite, impiegata anche negli impianti di Ze Pak e Turów. Tutti luoghi dove economia, ambiente e abitudini quotidiane sono state letteralmente plasmate dal carbone. Solo nelle miniere lavorano circa 130mila persone e oltre l’80% dell’elettricità è generata dal carbone. Di fatto, secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, in Polonia (38 milioni di abitanti) l’inquinamento atmosferico provoca circa 50mila morti premature all’anno.
IL PREZZO DELLE CENTRALI – Eppure negli ultimi anni, Varsavia ha continuato a investire nelle sue centrali. Almeno dove è stato possibile. Non c’è solo quella di Bełchatów (Gruppo PGE, la principale utility energetica polacca), responsabile dell’emissione di 38 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno, ma anche quella di Kozienice (9,8 milioni di tonnellate), dove si impiega antracite. La maggior parte della lignite usata proviene dalla miniera a cielo aperto di Turów, a pochi chilometri dai confini con Germania e Repubblica Ceca. La concessione mineraria scade nel 2020, ma la PGE ha chiesto una proroga al 2044 per alimentare una nuova unità (nonostante il limite al 2030 fissato dall’Ue). Miniera e centrale elettrica di Turów stanno prosciugando le falde idriche di Frýdlant, cittadina della Repubblica Ceca dove le principali attività sono legate ad allevamento e turismo e dove gli effetti sull’acqua potabile riguardano circa 30mila persone. Un caso diplomatico.
IL RUOLO DELLE COMPAGNIE ASSICURATIVE – La centrale di Turòw, tra le altre cose, è assicurata da Generali. Come calcolato in uno studio della rete internazionale Unfriend Coal, di cui fanno parte anche Greenpeace e Re:Common, dal 2013 al 2017 Allianz, Munich Re e Generali hanno investito circa 1,3 miliardi di euro e sottoscritto almeno 21 contratti per assicurare alcune centrali a carbone in Polonia. Dopo una lunga campagna di pressione, nel 2018 Generali ha deciso di non fornire più coperture per la costruzione di nuovi impianti e miniere in Polonia. Il Leone di Trieste continua ad assicurare, però, le centrali già esistenti: quella di Kozienice (gestita da Enea Sa), dove nel 2017 è stata lanciata l’unità a carbone più grande del continente, quella di Turòw e la centrale a carbone di Opole (entrambe gestite dalla PGE) che già emette 5,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno e passerà da circa 1.500 a oltre 3mila megawatt di capacità.
LA CRISI E IL FUTURO – Eppure parliamo di un mercato in crisi, tanto che nel 2016 l’allora governo ha dovuto salvare dalla bancarotta la principale compagnia statale del carbone, Kompania Węglova, trasferendo le miniere a una nuova azienda di Stato. All’inizio del 2018 una ricerca di Carbon Tracker ha rivelato che più della metà delle centrali Ue erano in perdita e che nel 2017 le compagnie assicurative avevano subìto perdite record per 135 miliardi di dollari a causa di disastri naturali. Però d’inverno le case restano calde grazie al carbone e tutto ruota attorno a questo combustibile, che ha plasmato intere aree del Paese. Come la Slesia, la principale regione mineraria, dove la cittadina di Rybnik è considera uno dei luoghi più inquinati d’Europa. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha sempre dichiarato di non volere abbandonare il carbone per una questione di indipendenza energetica (l’alternativa sarebbe quella di importare gas naturale dalla Russia), ma oggi per estrarre l’oro nero dai giacimenti occorre scavare pozzi sempre più profondi e questo riduce i ricavi. Il paradosso è che la Polonia, che non vuole dipendere dalla Russia per il gas, continua a importare proprio da Mosca sempre più carbone (oltre tredici milioni di tonnellate nel 2017, con un aumento del 60 per cento rispetto al 2018).