Una donna (o un uomo) assomigliano sempre al loro cane. Fateci caso. Somaticamente, spiritualmente, caratterialmente. E se non riuscite a scorgere questo particolare nei dettagli leggete Flush – Biografia di un cane (Feltrinelli), un romanzetto agile e giocoso scritto nel 1933 da Virginia Woolf con protagonista un cocker spaniel che nell’Inghilterra di metà ottocento vive la sua esistenza da cucciolo in una casa di campagna e poi da adulto nell’appartamento cittadino della malata poetessa Miss Barrett. Non mancano incidenti, un rapimento, e infine anche un viaggio, ma la particolarità di questo racconto soave ed etologico, sta proprio nello stile lucido, sentito e compatto con cui la Woolf si approccia al tema dell’animalità. Tratto dalle memorie della vera signorina Barrett, la narrazione in terza persona fluttua e si sdoppia in un colorato, fantasioso, peculiare sentimento canino. Un profluvio olfattivo, sensoriale, sentimentale del mondo di Flush che pare uno di quei film in soggettiva con cane parlante. “Sentì per la prima volta con le unghie ticchettare sul duro selciato di Londra (…) fiutò gli odori che vengono dai canali di scolo, da far perdere i sensi (…) intorno al capo gli frusciavano sottogonne; pantaloni gli sfioravano i fianchi; talvolta una ruota gli sfrecciava a un centimetro dal naso (…) e quando vide ancora una volta, dopo anni di assenza erba, fiori e alberi, l’antico grido di caccia dei campi gli risuonò nelle orecchie”. Fremente animalità allo stato puro in mezzo agli austeri ghirigori vittoriani. Con stampe acquerellate di Iraxte Lopez de Munain a cadenzare e riassumere in pochissimi quadri la narrazione. Irresistibile per gli umani con o senza coda. Figuriamoci se lo lasciate sul tavolo e lo legge il vostro cane. Voto: 8