Vent’anni di carcere con giudizio abbreviato: questa la condanna per il 35enne accusato di aver ucciso il suocero a Rozzano, nel Milanese, lo scorso febbraio. La vittima è un uomo di 63 anni, che era indagato dalla Procura di Milano per aver abusato della nipotina, nata dalla relazione – poi finita – tra la figlia e l’uomo che ha sparato. Per quell’omicidio si erano costituiti due uomini: il padre della bambina, che ha confessato l’omicidio, e un suo complice di 27 anni, che guidava lo scooter da cui sono partiti i colpi: entrambi erano accusati di omicidio volontario premeditato e il pubblico ministero aveva chiesto due ergastoli. Il 27enne è stato condannato a 18 anni di carcere.
L’omicidio era avvenuto intorno alle 18 del 25 febbraio 2019, in un parchetto di fronte a un supermercato di Rozzano: i due si erano avvicinati in scooter e avevano esploso cinque colpi di pistola, di cui quattro erano andati a segno. Il giorno dell’omicidio la figlia della vittima, ex compagna dell’uomo che ha sparato, era in Tribunale a Milano insieme alla bambina per raccontare gli abusi subiti dal nonno, in audizione protetta.
Da subito, il padre della bambina aveva cercato di negare che si trattasse di un delitto programmato e anche di liberare dalle responsabilità il suo amico di 27 anni, sostenendo che non fosse a conoscenza di quello che lui, poi, avrebbe fatto. Il 35enne aveva confessando l’omicidio attribuendolo a una reazione “istintiva”, d’impeto e di “vendetta”, causata da un “blackout mentale”, mentre secondo il gip era un delitto premeditato. Il giudice Aurelio Barazzetta ha riconosciuto le aggravanti della premeditazione, tuttavia equivalenti alle attenuanti generiche, motivate dal “forte turbamento emotivo” provato dall’uomo dopo avere saputo degli abusi sessuali subiti dalla figlia piccola da parte del nonno.
La decisione di concedere le attenuanti al killer era stata fortemente contestata dall’avvocato Lara Benedetti, legale dell’ex compagna del condannato: “Come ha anche sottolineato il pm in udienza, la confessione del killer, contraddittoria in sede di interrogatorio, non può essere considerata motivo di attenuante”. I giudici inoltre hanno riconosciuto 1 euro di risarcimento simbolico come chiesto dalla donna. L’avvocato ha spiegato che la sua assistita si era costituita parte civile solo per “far sentire la sua voce”, chiedendo una cifra irrisoria per non trarne alcun vantaggio economico: “Aveva già intrapreso un’altra via nei confronti di suo padre, quella della giustizia, e non della vendetta”.