di Federica Pistono*
Gettando uno sguardo alle opere siriane giunte a noi in traduzione in questo 2019 appena trascorso, spiccano due titoli che meritano l’attenzione del grande pubblico.
Il primo è la raccolta di racconti La storia della sete antica di George Salem (MReditori, 2019, trad. A. D’Esposito), un autore che, definito come il più kafkiano degli scrittori arabi, fu anche traduttore e filosofo. Nella sua breve vita (1933-1976) fu un intellettuale poliedrico di fede cristiana che, influenzato dall’esistenzialismo francese, affrontò i temi del significato della vita, dell’inevitabile fine dell’uomo, della solitudine e dello sconcerto dell’individuo di fronte al mondo, della soppressione della libertà di parola in uno Stato poliziesco.
Il centro dell’universo di Salem è l’individuo, non certo le masse, un individuo che si ritrova nel mondo e non lo riconosce, come se vi fosse capitato per caso. La frantumazione del soggetto in più entità, una tematica che l’Europa aveva già conosciuto con l’io uno e plurimo di Nietzsche, rappresenta uno spunto del tutto nuovo per la cultura araba che, sulla base della religione rivelata, musulmana o cristiana, aveva dato vita a un soggetto unico e granitico, come era avvenuto nella cultura europea della prima metà dell’Ottocento.
La “sete antica” cui si riferisce il titolo dell’opera rappresenta una metafora della sete di alti valori morali, come la ricerca della libertà e dell’amore, espressa attraverso la parabola dell’esistenza umana. Lo scrittore si ispira inoltre a Jean-Paul Sartre e ad Albert Camus, come si deduce dalla riflessione sul senso della vita, in cui egli pone in rilievo la solitudine e l’inutilità del vivere.
L’assurdità della condizione umana dipende dal fatto di essere destinata alla morte e all’annullamento. In quest’orizzonte cupo, l’uomo può contare solo su se stesso. La domanda che l’autore si pone riguarda la capacità degli uomini di ricercare e di trovare, nonostante tutto, un senso al proprio esistere, che per lo scrittore è conferito dal sentimento di solidarietà, che ciascuno deve coltivare in nome dell’amore per il prossimo.
I suoi personaggi sono spesso degli emarginati che conducono una vita di sofferenze. Nella raccolta, si fa strada anche il tentativo di trovare nella religione una risposta alle domande sul senso della vita. La soluzione, però, sembra non arrivare neppure da Dio, che resta muto di fronte agli interrogativi dell’uomo. Ed ecco che appare un elemento nuovo che segna forse un punto di svolta: l’amore e la donna amata sono raffigurati come uno spiraglio di luce nelle tenebre dell’esistenza.
Tuttavia, nel momento in cui sembrava profilarsi all’orizzonte una possibilità di approdo, la sorte ci ha purtroppo privato di un intellettuale siriano che aveva ancora molto da dare. E, forse proprio perché all’autore è mancato il tempo per indicare una via da percorrere alla ricerca del senso della vita, i racconti risultano di grande fascino.
L’altro titolo senz’altro degno di grande interesse è Diario di Samira al-Khalil. Parole dall’assedio (a cura di Y. al-Haj Saleh, MReditori, 2019, trad. G. de Luca e S. Haddad). Samira al-Khalil è una dissidente e attivista siriana che ha trascorso quattro anni nelle carceri di Hafez al-Asad. Nel 2013 è stata rapita a Duma dai terroristi jihadisti con altri tre intellettuali e da allora di lei si è perduta ogni traccia. I suoi appunti sono stati raccolti, curati e organizzati in un volume dal marito, Yassin al-Haj Saleh, anch’egli intellettuale, scrittore e oppositore politico siriano che ha trascorso in carcere 16 anni a causa della propria militanza comunista.
L’autrice ci offre la sua testimonianza in un diario composto di appunti sparsi e di osservazioni postate sui social media. L’opera conduce il lettore nel cuore di al-Ghouta, la zona alla periferia di Damasco assediata tanto dall’esercito governativo di Bashar al-Asad quanto dai terroristi jihadisti. Si tratta di parole semplici, dirette, dettate dall’urgenza di testimoniare al mondo gli eventi della guerra ma anche i sentimenti più reconditi di chi si trova a vivere in stato di assedio.
Il diario rappresenta la voce di una donna che è riuscita a superare i confini del conflitto, che ci spiega che cosa diventi la vita sotto assedio, quando bisogna accettare una quotidianità sotto le bombe e continuare a vivere anche se le armi chimiche, di notte, uccidono senza ferire. Il libro ci offre dunque uno spaccato di vita giornaliera in tempo di guerra, una vita fatta di piccole cose, in cui anche la banale scelta di accendere la luce può essere pagata con la morte.
Il testo, però, non contiene soltanto riferimenti ai fatti che accadevano a Duma sotto lo sguardo indignato di Samira, ma anche un ritratto dei tre attori responsabili della distruzione della Siria: il terrorismo nichilista, il terrorismo di stato e l’indifferenza della comunità internazionale.
* traduttrice ed esperta di letteratura araba